Pur negato a parole dal governo, come si fa sempre per le cose che non si vogliono chiamare con il loro nome nella illusione di ridurne l’impatto negativo, è realtà il commissariamento del sindaco di Roma per le magagne emerse dall’inchiesta giudiziaria di “Mafia Capitale”, e in vista di quelle che potranno emergere dall’omonimo processo che comincerà a novembre. Una realtà sotto certi aspetti più amara e più carica di rischi, per Ignazio Marino, del commissariamento tout court del Comune per il logoramento ulteriore al quale egli sembra destinato, ora che nell’immaginario collettivo, poco importa se a torto o a ragione, è diventato anche come sindaco quello che in vacanza, ai Caraibi o altrove, è stato ripreso dai fotografi: un sub.
Dovrebbe essere quanto meno imbarazzante, anche se in apparenza lui finge il contrario manifestando giubilo e riconoscenza, passare alla figura di sub-sindaco da quella di super-sindaco, vantata per via della sua elezione diretta al vertice del Campidoglio e ricordata ai suoi critici e avversari dal presidente nazionale e commissario romano del Partito Democratico Matteo Orfini.
E’ vero che Marino per tutte le competenze praticamente ridottegli con la supervisione affidata al Prefetto di Roma Franco Gabrielli può sentirsi in fondo protetto nel caso non certo improbabile di complicazioni e incidenti. Ma è anche vero che a causa delle poche competenze lasciategli intatte Marino finisce per essere ancora più rovinosamente esposto di quanto non sia accaduto prima, non potendosi più difendere con il richiamo alle tante, troppe cose di cui doversi occupare.
Fra le poche competenze lasciate intatte al sub-sindaco c’è quella del traffico. Che per chi abita e lavora a Roma è avvertito come una disgrazia peggiore e più diretta perfino della corruzione, che spesso ha il vantaggio di non essere vista. Il traffico caotico invece si vede, e come. Non si ha bisogno di scoprirlo leggendo le cronache giudiziarie.
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Il solito Fatto Quotidiano, ostinatissimo nelle sue campagne, ne sta conducendo da qualche giorno una nuova contro Matteo Renzi elencando, intervistando e ospitando campioni veri o presunti dell’antiberlusconismo criticato a Rimini, davanti al popolo di Comunione e Liberazione, dal presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico. Un antiberlusconismo al quale, sia pure “per certi aspetti”, Renzi ha attribuito responsabilità uguali, o quasi, a quelle del berlusconismo per la paralisi vissuta dal Paese nel ventennio della cosiddetta Seconda Repubblica.
Nella ricerca però degli eroi antiberlusconiani che andrebbero premiati per la loro indefessa e felice attività, a prescindere dai loro risultati, obiettivamente modesti di fronte al ruolo svolto da Berlusconi per più di vent’anni, sia quando è stato al governo sia quanto è stata all’opposizione, nella redazione del Fatto e dintorni si continua a ignorare la parte non certo periferica e secondaria avuta nell’antiberlusconismo anche da Renzi, prima e dopo il suo arrivo alla guida del Pd e del governo. Una parte che gli andrebbe onestamente riconosciuta e che qui abbiamo già ricordato: dalla decadenza di Berlusconi da senatore al pratico rifiuto di concordare con lui, a dispetto del cosiddetto Patto del Nazareno contestatogli dagli antiberlusconiani, il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale, non più tardi di alcuni mesi fa.
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La Repubblica, quella di carta, ha visto e annunciato “gelo” tra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, cui piacciono le tasse come ad un suo compianto predecessore, e il presidente del Consiglio Matteo Renzi, deciso a togliere le imposte sulla prima casa, visti i danni procurati ai proprietari e al settore vitale dell’edilizia, quindi a tutta la collettività, dalla spremuta fiscale voluta dal governo tecnico di Mario Monti e sostenuta per alcuni anni dallo stesso Renzi, anche per contrastare pregiudizialmente la linea opposta di Berlusconi.
Il gelo è un po’ fuori stagione. E rischia di restituire politicamente Padoan ai suoi trascorsi dalemiani proprio mentre il rottamato Massimo D’Alema è tornato alla carica contro Renzi, il suo rottamatore.