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Che cosa pensa Monica Maggioni del giornalismo

Pubblichiamo alcuni estratti del libro “Terrore mediatico” (Laterza, 2015) scritto da Monica Maggioni, giornalista, già direttore di Rainews24 e ora nuovo presidente del consiglio di amministrazione della Rai.

LA PARTIGIANERIA (È DENTRO DI NOI)

Usciamo dalla retorica di una neutralità che non esiste e forse non è mai esistita, se non nella teoria. (…) E non sto parlando del gioco sporco della manovra truffaldina di chi altera gli eventi, le notizie, di chi costruisce in montaggio quello che non è mai accaduto. Sto parlando dello sguardo sulla realtà che ognuno di noi ha e si traduce in una scelta.

L’IRAQ: NOI E LORO

Monica Maggioni è stata fra i giornalisti italiani presenti in Iraq durante la seconda Guerra del Golfo. E’ stata l’unica giornalista “embedded“, cioè ammessa tra le fila dei militari americani per raccontare la guerra. Dal loro punto di vista.

L’Iraq è diventato una sorta di buco nero nel racconto del mondo e delle sue vicende (…) L’Iraq, è una guerra insensata che va avanti dal 2003 e tutto quel che ha comportato sembrano aver saturato la possibilità di assorbimento da parte dell’opinione pubblica di qualsiasi scampolo di informazione proveniente da lì.

(MONICA MAGGIONI VISTA DA UMBERTO PIZZI. TUTTE LE FOTO)

È il mese di gennaio 2011. Riesco a entrare a Mosul in un’auto anonima, completamente coperta. Ci accompagna il vescovo Amel Nona. (…) Il centro della città è in mano ai jihadisti che stanno ammazzando, uno dopo l’altro, i cristiani che non sono ancora fuggiti. (…) E’ in corso una vera e propria persecuzione dei cristiani, qualcuno sta tentando di resistere, non ha i soldi nemmeno per fuggire. “Ma non durerà molto”, ci spiegano. “Li uccideranno e , per non morire, tutti gli altri fuggiranno”. E’ andata così. Eppure, in quel gennaio, la storia non sembrava interessare davvero nessuno. Certo, al mio ritorno ho fatto un lungo reportage e in molti si sono detti sconvolti dal racconto. Ma non è successo nulla. In fondo sembrava che quello fosse il problema di qualcun altro, qualcuno molto diverso e lontano da noi. (…) Ora è diverso, ma è tardi. 

Siamo fragili. Misuriamo il nostro limite, dobbiamo fare i conti con il perimetro di un equilibrio solo apparentemente solido. Perché, noi, che cosa è la guerra, non lo sappiamo più. Guardiamo distratti le guerre degli altri. Raccontiamo le fughe disperate di centinaia di migliaia di persone dalle loro case e pensiamo che, a noi, questo non può accadere.

I GIORNALISTI: BASTANO POCHE PAROLE

Maggioni inizia la sua carriera collaborando con Il Giorno. Poi, dopo la Scuola di Giornalismo di Perugia, comincia la sua carriera televisiva quando nel ‘94 viene presa a Euronews. Dirigirà poi Unomattina, il Tg1 e, in ultimo, Rainews24.

Cominciamo a scegliere il primo giorno che diventiamo reporter. Lo facciamo scrivendo aggettivi, allungando dirette, enfatizzando le parole, alzando o abbassando gli effetti dell’audio. Scrivendo l’occhiello, togliendo il catenaccio. Entrando a raccontare in una via e non nell’altra. Rimanendo un’ora in un villaggio e tre in quell’altro. (…) E’ una scelta girare la telecamera verso la folla o sul dettaglio del volto del potente che tiene il comizio. (…) Illuminiamo i volti e nascondiamo mondi. Diamo spazio parola dopo parola, alla possibilità di capire, o ci limitiamo a raccontare l’ovvio.

IL TERRORISMO E INTERNET

Secondo stime dell’intelligence, in Europa il 90% delle conversazioni sulla via della radicalizzazione (terrorista, ndr) avviene grazie a contatti Web.

I nuovi combattenti trovano un palcoscenico in cui essere protagonisti già in questa vita, prima del martirio hanno una platea globale cui rivolgersi: una popolarità insperata. Il loro viaggio senza ritorno, si colora di prospettive magnifiche, i video su YouTube diventano una galleria di vite avventurose che alternano atti eroici e racconto quotidiano.

(MONICA MAGGIONI VISTA DA UMBERTO PIZZI. TUTTE LE FOTO)

È il linguaggio del giornalismo, della televisione, del marketing delle cose e delle notizie che ci accompagna ogni giorno. L’annuncio dell’esclusiva è il più abusato degli stratagemmi per incuriosire lo spettatore.

È una questione di parole, di tecniche di racconto ma anche di tecnologia: è il risultato dell’impiego di telecamere digitali di facile trasporto e a basso costo, ma dalle prestazioni straordinarie, che permettono ai combattenti della guerra santa globale di replicare il modello narrativo occidentale, piegandolo al messaggio del jihad.

I jihadisti hanno piena consapevolezza della diffusione del loro messaggio, della penetrazione dell’audience, della costruzione di un’epica che supporti il loro percorso di conquista dei cuori e delle menti. E noi?

LA CENSURA – QUELLA GIUSTA E QUELLA SBAGLIATA

Nello svolgersi dei fatti di Charlie Hebdo:

A volta la vita è bizzarra. Io, che “Charlie” no l’ho quasi mai comprato quando video a Parigi, che durante la stagione delle vignette blasfeme sostenevo che non andassero riprodotte dai media internazionali per evitare di infiammare proteste e rabbia, perché di guai nel nostro mondo ce n’erano già a sufficienza, ora mi trovo a difendere strenuamente il diritto di ”Charlie” di pubblicare le sue vignette. D’altronde di fronte alla violenza non c’è altra strada. E quando dalla regia mi chiedono <<qual è la nostra linea, le facciamo vedere o no?>> io non ho dubbi. <<In un giorno così non sono disposta a fare distinguo: facciamo vedere tutto.>>

A proposito della diffusione dei video dell’Is:

Cominciamo a non diventar almeno strumenti del loro racconto tra fascino e orrore, della loro epica guerresca. Per questo, una mattina, dopo aver a lungo discusso in redazione, ho deciso di fare un editoriale in cui avrei spiegato che, da noi, i video dell’Is non sarebbero più andati in onda. Ho parlato della loro narrativa, del loro potere di seduzione. Della necessità di destrutturare i loro messaggi e incrementare la mediazione giornalistica. Ho detto che ci saremmo limitati a fermi immagine o brevissime sequenze e che non avremmo accettato il ruolo di distributori di un impianto narrativo terroristico, che lo avremmo smontato pezzo dopo pezzo. Non è servito a molto. (…) Ma, si sa, non viviamo in un tempo di attenti distinguo. E forse anche i media ne sono responsabili (…) ma è il nostro bisogno di racconto, quello che non ci fa staccare gli occhi da lì. Mentre noi siamo in onda, sappiamo che, di fatto, siamo incapaci di sottrarci alla provocazione mediatica globale dei terroristi.

Mentre ci preoccupiamo della sicurezza riflettiamo che, contemporaneamente, il nostro dovere è dire quello che sappiamo, fino in fondo. Il limite allora è proprio nel senso di responsabilità sociale di ognuno di noi. Che però non è determinabile con un codice o identificabile in un numero. E’ una negoziazione con il buon senso.

UN NUOVO INIZIO – LA RAI

La storia dunque non è finita. (…) Per chiunque voglia che questo racconto abbia nuovi episodi. 

(MONICA MAGGIONI VISTA DA UMBERTO PIZZI. TUTTE LE FOTO)


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