Il moltiplicarsi di scioperi imprevisti che hanno provocato non pochi disagi a cittadini e turisti nella seconda metà di luglio hanno funzionato da forte catalizzatore per avviare (sarà la volta buona?) l’attuazione degli articoli della Costituzione: il 39, che attribuisce alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese il potere di sottoscrivere a maggioranza contratti di lavoro aventi valore di legge; e il 40, in cui si afferma che lo sciopero si esercita nell’ambito delle norme che lo disciplinano.
Logica vorrebbe che entrasse in gioco anche l’articolo 46, che affronta il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, ma le condizioni per una proposta largamente condivisa dai sindacati non ci sono ancora e gli imprenditori si guardano bene dal sollecitarla.
Questo ritorno alla realtà è un fatto positivo che permette di uscire da una situazione schizofrenica.
A Milano la città si era ormai abituata alla precettazione riconoscendo nel Prefetto un naturale e autorevole garante del servizio pubblico. Gli stessi sindacati autonomi davano per scontata la precettazione utilizzandola per ottenere un po’ di visibilità politica a costo zero. A Roma invece, anche per le note vicende dell’amministrazione comunale la situazione sembra sfuggire di mano anche per il comportamento ondivago (come scritto dal direttore di Formiche.net, Michele Arnese) del Prefetto. A Pompei il ministro Enrico Franceschini è costretto a presidiare le portinerie.
Davanti a questa confusione occorre ricuperare Il dibattito in corso da decenni su come garantire nello stesso tempo, con regole chiare, sia il diritto di sciopero dei lavoratori che il servizio essenziale ai cittadini. Non accettare questa sfida significa per il sindacato (ma anche per la politica) perdere autorevolezza e rappresentatività.
Occore in premessa riconoscere che, nel caso dei servizi pubblici ampiamente intesi, esiste un sistema primario di garanzie di servizi minimi per cui le prestazioni vanno garantite comunque. Per eventi particolarmente significativi si concorda una “tregua sociale” in un arco temporale e in un ambito territoriale. Naturalmente anche le aziende debbono fare la loro parte in termini di trasparenza e di correttezza di gestione.
Le modalità “democratiche” di esercizio dello sciopero non possono essere differenti da quelle che si intendono adottare per approvare una piattaforma e per sottoscrivere un contratto. A decidere sono i delegati eletti o, in caso di divergenze, i lavoratori attraverso il referendum. C’è da chiedersi se questa linea abbia l’appoggio del segretario Fiom Maurizio Landini che non vede l’ora di rientrare dalla porta principale della FCA, essendo uscito dalla porta di servizio non sottoscrivendo il contratto tra l’azienda e Fim, Uilm e Fismic. Il “modello democratico” riconosce i diritti dei sindacati più rappresentativi ma garantisce il pluralismo sindacale e affida in ultima istanza ai lavoratori e ai loro rappresentanti democraticamente eletti ogni decisione e le responsabilità che ne derivano.
Da questo punto di vista il progetto di legge Ichino che prevede la maggioranza sindacale o il referendum per l’esercizio dello sciopero va in questa direzione e conferma la natura dello sciopero come diritto individuale esercitato in forma collettiva. Lo stesso ragionamento vale per il recente accordo FCA sottoscritto da Sergio Marchionne con i sindacati metalmeccanici. I sindacati confederali hanno posizioni articolate su queste materia ma non necessariamente lontane da una sintesi accettabile. L’ostacolo più forte sembra la diffidenza della Cisl per una legge in materia di rappresentanza e sciopero.
Gli accordi tra le parti possono costituire la base di un impianto normativo ma sia per l’articolo 39 che per il 40 sembra difficile evitare la legge. Tanto più in materia di sciopero dove, come osserva giustamente Tiziano Treu, l’autodisciplina non è più sufficiente a impedire il ripetersi di vicende come quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi.
Tocca ora al Governo l’iniziativa politica per un confronto serrato con le parti sociali perchè non si riponga nel cassetto l’argomento in attesa del prossimo “incidente di percorso”.