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Bisogna ancora tagliare risorse nel sistema sanitario?

La riforma sanitaria in questi giorni di calura estiva è entrata nel dibattito politico e parlamentare con l’obiettivo di tagliare ancora, e sempre attraverso ricette anacronistiche e irrealizzabili. La Corte dei conti manco a farlo apposta poche ore fa ha lanciato un grido d’allarme, provocando paura e preoccupazione tra i ceti meno abbienti e quelli medi, per l’eccessivo aumento delle tasse locali. Se ci aggiungiamo altri tagli nella sanità questo Paese diventerà il fantasma di sé stesso. Seguire la consunta e ipocrita tesi che punta a diminuire la spesa e a migliorare i servizi significa fallire prima di iniziare. Sono decenni che si cerca di applicare teorie simili. Friggete il pesce con l’acqua….

Il nostro sistema sanitario è uno dei migliori su scala europea e mondiale, costruito nel tempo, dalla nascita della Repubblica ad oggi. La legge 296/58 voluta dal II° Governo Fanfani istituì per la prima volta in Italia il Ministero della Sanità, scorporandolo dal Ministero dell’Interno. Il primo titolare del dicastero fu il grande tisiologo e scienziato di livello internazionale Vincenzo Monaldi a cui Napoli, dopo la sua morte dedicò un ospedale.

Un decennio più tardi, con la legge 132/1968, fu riformato il sistema degli ospedali, fino ad allora per lo più gestiti da enti di assistenza e beneficenza, e trasformati in “enti ospedalieri”. Ne furono disciplinate l’organizzazione, la classificazione in categorie, le funzioni nell’ambito della programmazione nazionale e regionale, ed il finanziamento. La legge 833/78, la riforma delle riforme, soppresse l’arcaico sistema mutualistico ed istituì il “Servizio sanitario nazionale”, articolato in USL (unità sanitaria locale). Fu la vera rivoluzione della sanità italiana, cambiò in modo epocale il rapporto tra cittadino e servizio sanitario.

Non si parlava più di assistenza sanitaria, ma di tutela della salute seguendo i tre fondamentali momenti: prevenzione, cura, riabilitazione. Una riforma dai notevoli costi per il tempo, ma che ebbe i suoi effetti sulla buona salute dei cittadini italiani. Nel corso degli anni molte cose della legge 833-78 sono state eliminate, ma nella sostanza l’impianto ancora oggi regge. Non solo la previdenza, i vari ammortizzatori sociali, anche la “tutela della salute” andò a rafforzare il nostro welfare, forse il più moderno ed efficiente in campo internazionale. Bloomberg in una classifica stilata nel 2014 valuta la sanità italiana tra le prime(terzo posto) al mondo per efficienza della spesa.

Non parlo da esperto del settore, ma da persona che ha operato concretamente, per tre lustri in campo sanitario, sia come guida di strutture ospedaliere importanti della Regione Campania, che come componente della commissione sanità del Consiglio regionale della Campania.

Nel decennio trascorso alla guida di queste complesse, difficilissime, ma straordinarie realtà ospedaliere ebbi più volte occasione di confrontarmi con accademici, professionisti, esperti del settore su varie questioni, tra cui quelle classiche riguardanti il miglioramento e l’organizzazione dei servizi, e la diminuzione della spesa.

Il discorso, caro direttore Arnese, andava a cadere sempre sugli sprechi. Alcuni sostenevano che la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi potesse essere la soluzione giusta. Si proponeva come rimedio il costo standard di commesse: di vari articoli di uso corrente, dalle siringhe alle protesi, e di quelle più complesse, dall’ecografo alla tac, alla Rmn, alla Pet.

Alla fine non si riusciva mai ad individuare la procedura più giusta e più idonea per ridurre i costi. Quale la ragione? Non si possono applicare in campo sanitario gli stessi processi che si adottano in genere in ambito economico-aziendale caratterizzati dal processo Input – Output. E’ possibile utilizzare una quantità enorme di input (risorse) per la cura del paziente ma alla fine l’output (risultato) rimane più o meno lo stesso.

Si verifica quella che alcuni chiamano teoria del collo di bottiglia. Gli output non sempre sono coerenti e corrispondono agli input immessi perché, chiedo scusa per la terminologia, il consumatore dei servizi sanitari (che è il paziente) non aspetta un prodotto, ma cerca la guarigione, dalla quale dipende il suo grado di soddisfazione dal servizio ottenuto. E questo è un dato.

La spesa sanitaria poi è per la massima parte indotta e chi la induce è il medico. Solo una consapevole serietà medica, caratterizzata da etica e deontologia, può aiutare, non a fare economie, ma a spendere in maniera adeguata e onesta per ottenere i migliori risultati in termini di tutela della salute. Un’alleanza convinta tra amministratori, medici, pazienti è il sentiero possibile su cui procedere per utilizzare al meglio le risorse nella sanità pubblica, senza farsi imbrigliare necessariamente nella rete dei cosiddetti standard di qualità o costi standard, perché di mezzo c’è la buona salute della gente. Ciò che invece deve funzionare alla perfezione sono i controlli, senza non si conoscerà mai se ciò che si spende è ben speso o meno.

Nota a margine: se la salute della gente, come pare ipotizzare il governo, debba appartenere anch’essa alle regole del mercato, si assegni ai privati tutta la parte che compete alla medicina di base, andando incontro alle pressioni delle varie lobbies del settore per ottenere una fetta di sanità. La specialistica, la superspecialistica, l’eccellenza siano però di esclusiva gestione del pubblico. Il governo in tal modo ridurrà i costi per le prestazioni di base e si occuperà di potenziare e migliorare sempre più la medicina complessa.


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