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Tutte le mire di Al Sisi col nuovo Canale di Suez. Parla il generale Jean

L’Egitto è pronto per l’odierna inaugurazione del nuovo tratto del Canale di Suez, dal quale transiteranno il doppio delle navi con tempi di percorrenza quasi dimezzati.

Quali gli effetti geopolitici di quest’opera? Quali i riverberi economici? E ancora, che significato ha per la figura dell’uomo forte della politica egiziana, il presidente Abdel Fattah Al Sisi?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Carlo Jean, esperto di geopolitica e professore di Studi strategici alla Luiss e alla Link Campus University di Roma.

Generale, che effetti geopolitici avrà il raddoppio del Canale di Suez?

Pochi. Le petroliere, anche se non quelle super, passavano e continueranno a farlo.

Anche la Cina si concentra su progetti infrastrutturali per aggirare sia il Canale di Panama sia lo Stretto di Malacca.

Vero, ma in fondo anche Pechino è soddisfatta del raddoppio: ha investito molto nel porto del Pireo e dunque non potrà che beneficiare del maggior traffico nel Mediterraneo.

Quali saranno i benefici economici derivanti dal raddoppio?

Si parla di circa novantasette navi capaci di attraversare il Canale in un giorno invece delle quarantanove attuali, entro il 2023. In pratica il traffico potrebbe aumentare di un terzo, da circa 20mila a 30mila navi al giorno, grazie anche al tempo di percorrenza delle navi che si ridurrà da 18 a 11 ore. I lavori, costati 8,2 miliardi di dollari, avranno grossi riverberi economici per l’Egitto, anche in virtù delle royalties sul passaggio delle navi, che cresceranno esponenzialmente: dovrebbero triplicare a oltre 13 miliardi all’anno entro il 2024 rispetto ai 5,3 miliardi di dollari del 2014.

Ne beneficerà anche l’Italia?

Poco i nostri porti, forse l’unico sarà quello di Taranto per la posizione che occupa. Sicuramente farà bene alle imprese italiane coinvolte nei lavori, come Fincantieri.

Quest’opera fa parte della propaganda di Al Sisi di proporsi come un nuovo Gamal Abdel Nasser?

Il presidente egiziano gioca molto sul nazionalismo interno e un’opera di questo tipo lo aiuta molto a tirar fuori l’orgoglio del Paese.

Quali caratteristiche accomunano i due, guardando al Canale di Suez?

Il fatto che tutti i dittatori o comunque gli “uomini forti al comando” sono stati dei grandi costruttori. Lasciare grandi opere è un modo per perpetuare una immagine di potere anche dopo la propria morte.

Bernardo Valli, ricordando la costruzione della diga di Assuan, scrive oggi su Repubblica che “Al Sisi condivide con Nasser” il principio che “le opere faraoniche non danno soltanto gloria, ma cancellano le ombre”. Sarà così anche con il presidente egiziano?

Se per ombre si intende la lotta alla Fratellanza Musulmana e lo scarso controllo sui terroristi nel Sinai, credo di no. Le sfide che affronta Al Sisi sono diverse, ma potranno comunque sortire un effetto positivo sulla sua immagine, se le ricadute occupazionali date dal raddoppio dell’opera saranno quelle auspicate dalla popolazione egiziana.

Tra i lavori ci dovrebbe essere anche un rafforzamento dei sistemi di sicurezza per mettere al riparo il Canale dagli attacchi dell’Isis. Si tratta di uno scenario plausibile?

Sì. I missili anti nave sono in dotazione di alcuni gruppi terroristici, come dimostrano anche recenti attacchi.

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