L’orrore di Palmira, con l’antico tempio di Baal Shamin fatto saltare in aria dai drappi neri, è solo l’ennesima ferita sul volto già sfigurato della Siria. Nel Paese, controllato ormai solo in parte dal regime di Bashar al-Assad, una combinazione letale di guerra civile, furore jihadista e pressioni esterne sta dando vita a uno degli esodi più imponenti della Storia.
UN PAESE CHE NON C’È PIÙ
Tra vittime e rifugiati, la popolazione del Paese s’è ridotta di più d’un terzo. Prima del conflitto, la Siria ospitava circa 18 milioni di persone, scesi oggi ad 11. Le statistiche dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dicono che al 23 agosto 2015 sono oltre i 4 milioni di espatriati siriani in cerca d’asilo. Una massa fermatasi principalmente nei campi profughi in Libano, Giordania e Turchia, in un numero che non ha per ora paragone con quello dei disperati ospitati in Occidente, nonostante i problemi dei giorni scorsi al confine tra Grecia e Macedonia.
LUOGHI DI RADICALIZZAZIONE
Tutto ciò, spiega a Formiche.net Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundation, rappresenta una vera e propria “bomba ad orologeria”. Questi mega campi, rimarca “stanno diventando motivi di reale preoccupazione in questi Paesi. Gli eserciti li considerano, a ragione, rifugi per cellule dell’Isis o di al-Qaeda, che qui trovano terreno fertile per reclutare nuovi adepti”.
COSA ACCADE
La Siria, così come la conoscevamo – concordano gli osservatori – probabilmente non esisterà più. Ma è l’intera area a vivere in fibrillazione. “La situazione si sta evolvendo”, sottolinea ancora la Bianco. “La coalizione contro l’Isis non sta avendo i risultati sperati, soprattutto in Siria. Ciò è dato dal fatto che gli Usa, per ragioni strategiche, stanno ora investendo maggiori energie sull’Iraq. Di conseguenza non ci sono molti interlocutori sul campo e una situazione pericolosissima, che induce a fuggire per evitare le crescenti violenze e le bombe”.
LE FAZIONI NEL PAESE
Al momento, sono molti gli attori presenti nel Paese, così come le fazioni che se lo contendono. “C’è Thwar al-Sham – ricorda l’analista -, una formazione addestrata dagli Usa e sostenuta da Turchia e anche dai sauditi. In essa sono confluiti alcuni fuoriusciti del Free Siryan Army e della New Siryan National Coalition; ad ogni modo troppo pochi per incidere, anche se ben equipaggiati. La Turchia è entrata da poco nella partita, con l’obiettivo parallelo di creare una no fly zone in funzione anti curda”. Poi, prosegue, “ci sono sempre l’Arabia Saudita e il Qatar, meno interventista del passato, entrambi a sostegno dei ribelli anti regime. Nell’area di Damasco c’è Assad, appoggiato da Hezbollah e dalle milizie iraniane; costituisce adesso l’anello più debole della catena. La parte orientale è sotto il controllo dell’Isis. Mentre città come Aleppo e Homs cambiano continuamente di mano dall’inizio della guerra.
GLI SCENARI
Ciò, conclude l’esperta, vuol dire che “le forze sul terreno si eguagliano” e implica che “o gli iraniani abbandonano Assad e gettano le basi per un nuovo Paese governato dai ribelli – un’ipotesi improbabile – o che le forze che supportano i ribelli facciano un passo indietro, togliendogli il necessario sostegno. Uno scenario molto più attendibile al momento. Anche se, per conoscere il futuro della Siria e della sua popolazione – precisa – bisognerà aspettare ancora che si dispieghino del tutto gli effetti geopolitici dell’accordo sul nucleare iraniano, vero game changer per l’intera regione”.