Se risulteranno vere le voci, o impressioni, sulla possibilità di un compromesso, finalmente, sulla riforma del bicameralismo fra Matteo Renzi e la minoranza dissidente del suo partito, il Senato somiglierà al Colosseo.
Gli somiglierà non nel senso che verrà abolito e diventerà un museo, come il presidente Pietro Grasso aveva temuto protestando contro un proposito attribuito a Renzi e da questi smentito di fronte alla reazione dell’ex magistrato. Ma nel senso che la recentissima chiusura delle trattative fra maggioranza e minoranza del Pd, consumatasi con il trasferimento della riforma dalla competente commissione all’assemblea del Senato, e con uno scontro durissimo su questo passaggio fra i dirigenti piedini e Grasso, si rivelerà un’altra “apertura ritardata”. Come quella che i soliti buontemponi hanno preteso di chiamare la chiusura del Colosseo imposta per alcune ore ai turisti a causa di un’assemblea sindacale convocata, come al solito, nell’orario di lavoro.
Per fortuna il governo, confortato dal consenso del presidente della Repubblica, questa volta ha reagito con la dovuta fermezza, equiparando con un decreto legge ai “servizi essenziali” quelli dei musei, per cui gli scioperi saranno sottoposti a regole più stringenti.
Ne potrebbe beneficiare, peraltro, anche il Senato se veramente dovesse diventare un museo, come vorrebbero tutti quelli che preferiscono il cosiddetto monocameralismo ad un bicameralismo troppo pasticciato, seppure non più paritario come quello in vigore. Anche le visite dei turisti a Palazzo Madama sarebbero meglio protette da scioperi o assemblee sindacali
Come sempre, la signora Susanna Camusso, la “zarina” della Cgil, è stata la più tempestiva e dura nella offensiva contro l’intervento del governo sulla vicenda del Colosseo. Ha parlato di “strano Paese” in cui si pretenderebbe di eliminare o boicottare i diritti sindacali.
E’ possibile che alla signora Camusso, e colleghi, non venga mai la tentazione di provare a mettersi dall’altra parte, quella cioè degli utenti, e chiedersi una volta tanto se non è il caso di trovare forme di protesta più rispettose dei diritti dei cittadini comuni? Ai quali i sindacati appaiono sempre più prepotenti, e impopolari, per l’abuso che fanno degli scioperi e delle loro riunioni.
Ci sono forme davvero arcaiche di agitazioni e assemblee che gridano vendetta. Forme che rendono “strano” il sindacato, prima ancora del Paese. Uno sciopero, per esempio, nei servizi pubblici di trasporto sarebbe più stringente ed efficace sulle aziende, inducendole a trattare e a rimuoverne le cause, se espresso nell’annunciata omissione dei controlli dei biglietti o della loro vendita.
La verità è che, data la situazione deficitaria del settore, gli scioperi vengono indetti e praticati non contro le aziende di trasporto, che risparmiano il blocco dei mezzi, ma esclusivamente contro il pubblico.
Le cose per Massimo D’Alema vanno nella periferia del Pd peggio ancora che a livello nazionale, dove ormai il segretario del partito, e presidente del Consiglio, snobba le sue critiche o ignorandole o rispondendo con allusioni più meno sbrigative, accompagnate da sfide di renziani doc a candidarsi al prossimo congresso, nel 2017, per succedere a Renzi. Una candidatura che avrebbe a questo punto le stesse possibilità di successo di un cavallo azzoppato in una corsa.
Irritato dalle cronache “locali” che gli attribuivano un incontro conviviale con “i fedelissimi” a Bari, ai margini della sua partecipazione a un dibattito alla Fiera del Levante, l’ex presidente del Consiglio ha spedito una lettera al direttore della Gazzetta del Mezzogiorno nella quale ha reclamato un esercizio più professionale del giornalismo, ma soprattutto gli è sfuggito di scrivere, testualmente: “Quanto ai “fedelissimi”, le cronache dimostrano che non sono particolarmente esperto in questa materia, e quindi ormai da tempo mi astengo da organizzare cene di questo tipo”. Il riferimento, amarissimo, è ai tanti passati con armi e bagagli dalle sue file a quelle di Renzi.
Impietoso, il direttore della Gazzetta ha replicato con poche righe per precisare che nell’unico articolo del suo giornale dedicato alla cena in questione erano stati indicati come commensali di D’Alema solo “gli organizzatori del convegno e il sindaco di Bari”. Evidentemente l’ex presidente del Consiglio aveva scambiato un giornale per un altro scrivendo a quello sbagliato.