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Che succede all’Ama?

La decisione del CdA dell’AMA non ha nulla a che fare con la disciplina dei licenziamenti individuali: è solo un pogrom. Perché il licenziamento sia legittimo occorrono una giusta causa o un giustificato motivo, che a sua volta può essere oggettivo o soggettivo. Vi è giusta causa di licenziamento ‘’qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto’’. Il giustificato motivo oggettivo è determinato da ‘’ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa’’. Il giustificato motivo soggettivo – alla base del classico licenziamento disciplinare – è individuato dalla legge nel ‘’notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro’’.  In sostanza, il licenziamento è un atto di recesso (motivato) da un rapporto di lavoro in corso.

Se nella fattispecie è presente un vizio intervenuto al momento dell’assunzione il contratto può essere nullo o annullabile, ma va compiuto un accertamento giudiziario diretto ed è comunque salva la prestazione di fatto. Ciò detto sul piano giuridico, se tutti quelli assunti mediante raccomandazioni nelle aziende partecipate romane (e dintorni)  – ora società per azioni di diritto privato – dovessero essere licenziati, le conseguenze sul piano sociale sarebbero devastanti.

Come si comporteranno i giudici del lavoro nel caso AMA? Faranno giustizia annullando i licenziamenti o si regoleranno in sintonia con il potere, a sua volta disorientato da un’opinione pubblica forcaiola?

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Seguo con attenzione ed apprensione il dibattito sull’introduzione di criteri di flessibilità del pensionamento, augurandomi che si traducano in un clamoroso insuccesso. A stare, però, alle soluzioni che si prospettano, i ‘’manutengoli’’ della flessibilità rischiano di fare un clamoroso buco nell’acqua per quanto riguarda le aspettative dei loro protetti, i quali, di solito, specie se maschi appartenenti alle coorti del baby boom, maturano i requisiti contributivi, per il trattamento anticipato, intorno ai 60 anni. Stabilire, quindi, la soglia anagrafica minima a 62-63 anni significa ritardarne comunque il pensionamento.

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In tutta la letteratura previdenziale sta scritto a chiare lettere che l’incremento del requisito anagrafico in relazione all’attesa di vita è il principale intervento da compiere per assicurare una relativa adeguatezza dei trattamenti. Questa regola vale soprattutto nei sistemi a calcolo contributivo dove i c.d. coefficienti di trasformazione (per i quali viene moltiplicato il montante contributivo individuale, allo scopo di determinare l’importo della pensione) sono più elevati – e quindi favorevoli – quando lo è anche l’età della quiescenza.

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Le Francescheidi

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