La possibilità che i colossi del Web vengano tassati per i redditi generati in Italia ha ripreso vita nel salotto di Lilli Gruber su La7. Ospite Matteo Renzi, che tra un taglio alle tasse e un elogio sperticato a Sergio Marchionne per il suo operato in Fiat, ha annunciato una possibile digital tax.
L’ANNUNCIO DI RENZI
“Dopo aver aspettato per due anni una legge europea – ha annunciato Renzi – dal 1° gennaio 2017 immaginiamo una digital tax che vada a colpire con meccanismi diversi, per far pagare tasse nei luoghi in cui sono fatte transazioni e accordi”.
“I grandi player dell’economia digitale mondiale – ha spiegato Renzi – che per me sono dei miti, come Apple e Google, hanno un sistema per cui non pagano le tasse nei luoghi dove fanno business: allora noi siccome stiamo aspettando da due anni che ci sia una legge europea abbiamo deciso di attendere tutto il primo semestre del 2016 attendendo l’Ue, ma da questa legge di stabilità già immaginiamo una digital tax”.
LE CONFERME E LE ACCELERAZIONI DEL SOTTOSEGRETARIO
Ma cosa ha in mente Renzi? “La digital tax annunciata dal Presidente del Consiglio è quella che Scelta Civica ha messo a punto negli scorsi mesi e depositata anche in un apposito disegno di legge alla Camera”, ha detto Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica e sottosegretario all’Economia.
Zanetti pensa di accelerare: “Fermo restando che andrebbe benissimo anche una sua decorrenza a partire dal 2017, non escludo che si possa ragionare anche in ottica 2016, considerato che può dare un contributo davvero importante in termini di gettito e, quindi, di finanziamento delle importanti misure di riduzione del prelievo fiscale su lavoratori, imprese e famiglie italiane che stiamo mettendo a punto”, ha detto il sottosegretario.
CHI COLPIREBBE
“Una rivoluzione rispetto a quanto accade oggi”, ha scritto Marzio Bartoloni sul Sole 24 Ore. “Le tre sedi italiane dei tre colossi Google, Facebook e Twitter, hanno corrisposto al Fisco nel 2014 – come risulta dagli ultimi loro bilanci consultabili – rispettivamente 1,8 milioni, 305mila euro e 49mila euro. Spiccioli rispetto ai redditi reali prodotti in Italia e che oggi invece sono dirottati in toto sulla sede sociale in Paesi a fiscalità privilegiata”.
La norma toccherà anche il settore dei giochi, dice Zanetti: secondo l’agenzia Agimeg “la futura digital tax riguarderà anche il settore giochi, come tutti gli altri comparti che hanno attività significativa e continuata sul nostro territorio, pur non essendo italiani”. “E’ del tutto evidente che sia così”, avrebbe sottolineato il sottosegretario.
L’articolo 1 della proposta chiarisce che “Si considera in ogni caso sussistente una stabile organizzazione in Italia qualora si realizzi una presenza continuativa di attività online riconducibili all’impresa non residente, per un periodo non inferiore a sei mesi, tale da generare nel medesimo periodo flussi di pagamenti a suo favore, comunque motivati, in misura complessivamente non inferiore a cinque milioni di euro”.
LA DIFFERENZA CON LE ALTRE PROPOSTE
In cosa è diversa la proposta di Zanetti e Renzi dalle altre, ad esempio da quella presentata dall’onorevole Francesco Boccia? “Prima di tutto questa proposta non riguarda l’Iva, che è un’imposta europea e quindi necessita dell’approvazione di Bruxelles. Inoltre, seguendo una logica anti-elusiva, in questo caso si tassano i redditi derivanti dall’attività d’impresa”, ha spiegato Zanetti.
COME FUNZIONA
La proposta che ha come primi firmatari i deputati di Scelta Civica, Stefano Quintarelli e Giulio Sottanelli, prevede l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 25% sulle “transazioni digitali”, che rappresenta una delle opzioni finora allo studio da parte dell’OCSE all’interno del citato Piano d’azione sull’erosione fiscale e sul fenomeno del Profit Shifting.
“Si tratta – si legge nella proposta di legge – di una ritenuta alla fonte ai pagamenti effettuati da soggetti residenti in un Paese, all’atto dell’acquisto di prodotti o servizi digitali presso un e-commerce provider estero. L’unica soluzione per l’applicazione di tale ritenuta alla fonte comporterebbe il coinvolgimento diretto delle istituzioni finanziarie incaricate di regolare il relativo pagamento degli acquisti online a cui dovrebbe essere affidato il compito di segnalare la presenza di stabili organizzazioni occulte e poi di applicare la tassazione delle transazioni digitali, trasferendo all’Erario il gettito derivante dall’applicazione della ritenuta. In caso di doppia imposizione, essa potrà essere eliminata nel paese di residenza, attraverso il meccanismo del credito di imposta per le imposte assolte in Italia sullo stesso reddito”.
GLI OBIETTIVI ANTIELUSIONE
Conclusione? “Un soggetto straniero che svolge attività nel nostro Paese deve essere tassato in Italia se nel nostro territorio abbia una stabile organizzazione, anche occulta”. Ed ecco quindi l’obiettivo della proposta Quintarelli-Sottanelli: “Si tratterebbe quindi di introdurre una disposizione antielusiva (dato che è di elusione che stiamo parlando) che stabilisca che quando il reddito derivante dall’attività svolta dalla digital company operante in Italia sia imputato ad un società estera, i relativi redditi possono comunque essere tassati nello Stato in cui è erogata la prestazione, salvo il riconoscimento di un credito tendenzialmente pari alle imposte assolte all’estero sul medesimo reddito”, si legge nella proposta.
L’ALTERNATIVA
Ma i colossi del digitale potrebbero a quel punto optare per una seconda scelta: “Con la nuova modalità di tassazione le multinazionali con sede all’estero dovrebbero scegliere se subire un prelievo del 25% sui ricavi ottenuti in Italia o se, a fronte del rischio automatico di segnalazione della presenza digitale da parte degli stessi intermediari, dichiarare la stabile organizzazione, facendo un bilancio vero con i ricavi qui realizzati e la quota di costi consolidati attribuibile”.
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