Arriva il Def formato crescita. Ieri sera, poco dopo le 20, il governo ha approvato il Documento di economia e finanza propedeutico alla manovra 2016 da 27 miliardi, che verrà presentata a ottobre.
Il testo indica gli aggiornamenti dei saldi di finanza pubblica, recependo la maggiore flessibilità concessa dall’Ue in virtù delle riforme fin qui portate avanti dall’esecutivo. Lo spazio di manovra conquistato è il frutto – dice il governo – di settimane di trattative tra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e la commissione europea, anche se i negoziati si concluderanno definitivamente solo a ridosso della presentazione della manovra, che deve essere inviata a Bruxelles entro il 15 ottobre. Mentre fanno ancora discutere in ambienti governativi le critiche proprio su questi aspetti messe per iscritto dall’ex capo economista del Tesoro, Lorenzo Codogno.
E così il Def uscito da Palazzo Chigi disegna alla fine una manovra espansiva, in grado di fare leva su quei margini di flessibilità finora concessi dall’Ue e che mette il governo nelle condizioni di sfruttare gli spazi per l’abolizione della Tasi e dell’Imu anche sugli imbullonati. A trattative concluse, l’Italia punta poi a strappare all’Ue tra i 10 e i 13 miliardi, mentre gli altri denari, circa 17 miliardi, arriveranno dai tagli alla spesa e dovrebbero invece essere utilizzati per disinnescare le clausole di salvaguardia (aumento delle accise e dell’Iva), e per il finanziamento degli investimenti, soprattutto al Sud.
I NUMERI DEL DEF
Venendo al contenuto del Def, i saldi approvati dal Consiglio dei ministri hanno rispettato nella sostanza le previsioni della vigilia. Il Pil 2015 è stato visto al rialzo dallo 0,7% allo 0,9%, come anticipato nei giorni scorsi dallo stesso premier Matteo Renzi a Otto e Mezzo. Per quanto riguarda il 2016, il prodotto interno lordo balzerà all’1,6% a fronte dell’1,4% stimato dall’esecutivo ad aprile “grazie all’allentamento fiscale previsto dal governo”, ha spiegato Padoan in conferenza stampa. Traiettoria inversa per il deficit, che si conferma sì in discesa ma meno di quanto indicato in precedenza, per l’effetto appunto dei maggiori spazi di manovra concessi da Bruxelles. E così nel 2016 il rapporto deficit/pil sarà del 2,2%: un dato più basso rispetto al 2015 (2,6%) ma più alto rispetto all’1,8% stimato nel precedente aggiornamento del Def. Lo scostamento dello 0,4% rappresenta per l’appunto la cifra della flessibilità concessa finora dall’Europa. “Nel 2015 abbiamo svoltato, nel 2016 si tratta di accelerare. Oggi molti indicatori dicono che l’Italia è ripartita e il Def non può che fotografare lo stato dell’arte. C’è una crescita più alta rispetto alle aspettative”, ha affermato il premier Matteo Renzi aprendo la conferenza stampa al termine della riunione.
IL CONSIGLIO DELLA BCE, USARE RISPARMI SULLO SPREAD PER TAGLIARE IL DEFICIT
Nonostante con l’approvazione del Def sia stata ormai costituita l’ossatura della manovra 2016, in questi ultimi giorni non sono mancati i suggerimenti al governo da parte delle principali istituzioni economiche e finanziarie, sia comunitarie che non, soprattutto in materia di tasse. Tra questi, quelli arrivati dalla Bce due giorni fa in merito all’utilizzo dei risparmi ottenuti con la riduzione degli interessi sul debito, frutto dell’abbassamento dello spread ma anche del programma di acquisto di titoli pubblici da parte della Bce. Soldi che, come ha scritto la Bce nel suo bollettino, l’Italia deve impiegare “per ridurre il deficit piuttosto che per aumentare la spesa”. Un avvertimento arrivato pochi giorni dopo che il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan aveva annunciato in un’intervista al Messaggero l’inserimento tra le coperture della manovra dei risparmi ottenuti grazie ai minori interessi pagati sul debito.
L’FMI, PRIORITA’ AL TAGLIO DELLE TASSE SUL LAVORO
Un’altra importante voce si era levata sulle priorità da indicare nel Def e fissare in legge di stabilità. Quella del Fondo monetario internazionale guidato da Christine Lagarde, per il quale è meglio intervenire sul lavoro e sulla tassazione dei capitali invece che sulla casa. Il portavoce del Fondo Gerry Rice ha infatti fatto sapere come “dato che le tasse su lavoro e sui capitali restano elevate, tagli alle tasse finanziati con i proventi della spending review sarebbero favorevoli alla crescita”.
BANKITALIA, CORTE DEI CONTI E UE, TUTTI CONTRO IL TAGLIO DELLA TASI
Ma l’idea di abolire la Tasi targata Renzi non era piaciuta nemmeno a Bankitalia, Corte dei conti e Ue. Tutti hanno ribadito la necssità di concentrarsi più sul lavoro che sulla casa, definendo l’addio alla Tasi un favore ai ricchi. Per Via Nazionale la priorità è la riduzione del carico fiscale sulle imprese e sui lavoratori piuttosto che sulla casa. In un’intervista al Foglio seguita all’annuncio di Renzi di voler abolire la Tasi, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco aveva sostanzialmente rigettato la proposta di Palazzo Chigi, sottolineando come a livello europeo la casa è un cespite normalmente tassato, come ripete da anni l’ufficio studi dell’Istituto centrale già quando era governato da Mario Draghi. Un pensiero condiviso anche dalla Corte dei conti, che sull’abolizione della Tasi si era già espressa, sottolineando come “il confronto con l’Europa segnala una distribuzione dell’onere fiscale che penalizza i fattori produttivi rispetto alla tassazione dei consumi e del patrimonio”. Proprio quello che dice la stessa Unione europea, quando chiede più attenzione verso il lavoro e le imprese a discapito della casa.
MENTRE CONFINDUSTRIA TIFA (ORA) PER RENZI
Ma per cinque voci che non approvano in pieno l’operato del governo ce ne è una che invece approfitta per tirare la volata a Renzi a ridosso dell’approvazione del Def. Un po’ a sorpresa, dopo mesi di battibecco, è la Confindustria di Giorgio Squinzi che nel suo ultimo report Scenari Economici traccia un quadro più rassicurante del solito e stima un pil addirittura più alto del governo: +1% nel 2015 e +1,5% nel 2016 contro +0,8% e +1,4% stimati in giugno. Il giudizio di viale dell’Astronomia è particolarmente positivo per il jobs act, come dimostrano le parole del capoeconomista del Centro studi di Confindustria Luca Paolazzi. “Il miglioramento del mercato del lavoro ha avuto una netta accelerazione in marzo, quando è entrato in vigore il Jobs Act, che si è aggiunto alla decontribuzione sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato. L’aumento degli occupati avviene in presa diretta con l’incremento del pil, in un circolo virtuoso che alimenta la fiducia e diffonde la crescita“.
E SE FOSSE TROPPO PRESTO PER CANTAR VITTORIA?
Insomma, prima e dopo l’approvazione del Def le diverse istituzioni intervenute sulle prospettive dell’economia italiana si sono espresse con pareri discordanti tra loro. Forse alla fine la linea migliore è quella della cautela, senza farsi prendere da entusiasmi eccessivi. La strada è ancora lunga, come d’altronde afferma il Rapporto sulla finanza italiana edito dal Mulino, che verrà presentato il prossimo 22 settembre e di cui formiche.net ha già dato conto con alcune anticipazioni. “sebbene il quadro sia molto migliorato grazie all’azione della Bce e alle conseguenze favorevoli del QE sull’andamento dello spread”, e sebbene appaia possibile che a Bruxelles inizi a prevalere una lettura più morbida degli obietti di bilancio, “difficilmente per i prossimi anni potremo evitare di puntare a un ulteriore aumento del saldo primario rispetto ai livelli attuali”, afferma il rapporto. In altre parole le entrate dovranno continuare ad essere ancora di molto superiori alle uscite, al netto della spesa per gli interessi sui titoli di Stato, vale a dire che per un vero e proprio abbattimento delle tasse c’è da aspettare.