Babette s’en va-t-en guerre, il film del regista Christian-Jaque che per la prima volta – eravamo nel 1959 – trattava un evento bellico francese alla stregua di commedia, mi era piaciuto molto. Merito di Brigitte Bardot, all’epoca all’apice della giovinezza e del fascino.
Anche Hollande, come Sarkozy, subisce la perniciosa moral suasion di Bernard Henri Levy e vuole andare alla guerra. Ma lo fa con scarsa credibilità. Primo, perché non è al top dell’appeal nemmeno per i suoi concittadini. Secondo, perché mandare una tantum tre caccia Rafale a sganciare qualche bomba da 250 libbre (le più piccole) non significa certo fare la guerra all’Isis. Terzo, perché, pur avendola preannunciata suonando la grancassa per quindici giorni, ancora una volta ha fatto una fuga in avanti non concordata. Quarto, perché tira in ballo la sicurezza nazionale per mettersi in qualche modo al riparo del Capitolo VII della Carta dell’Onu. Quinto, perché non tiene conto dei guai combinati dal suo predecessore quando ha trainato Onu ed Alleati all’attacco della Libia.
Questo, o perché la memoria è corta o perché – più plausibile – ha furbamente scelto un momento particolare per fare assieme, con solo poche bombe, politica interna e politica estera. Ovvero, per far contenta una fascia dei propri elettori e, contemporaneamente, cercare un posto al tavolo di coloro che hanno davvero il potere di decidere le sorti del conflitto siriano. Che sono Russia, Stati Uniti e nessun altro. Ancora una volta, Vladimir Putin sta dimostrando di saper giocare magistralmente le sue pedine. Dall’altra parte della scacchiera siede Barack Obama, che, preso come al solito tra l’incudine dei dubbi ed il martello della realtà, si accinge finalmente a decidere chi è al momento il nemico più pericoloso, e a concentrarsi su quello.
Attorno al tavolo siedono altri attori, di cui alcuni sanno chiaramente da che parte stare, come Teheran, mentre altri per motivi diversi non riescono a decidersi. Salvo, ovviamente, le solite mosche cocchiere, che con le loro estemporaneità armate continuano a far danni. Come in Libia nel 2011 e come in Siria quando, sostenendo senza discriminare i ribelli, hanno di fatto favorito il perpetuarsi del conflitto. Così, siamo ancora in stallo. Non sarà qualche decina di raid dei caccia francesi a invertire la situazione. Solo spot, dicono alcuni, ed è probabile sia così.
Operativamente, l’azione a fuoco francese non può essere di alcun rilievo nell’esito del conflitto, ne può certo sostituirsi all’azione delle forze di Bashar al-Assad, che Hollande vorrebbe far cadere da subito. Come Gheddafi. Se vogliamo paragonare qualche dato, sinora la grande coalizione aerea neghittosamente voluta da Obama in un anno e mezzo ha effettuato, tra Iraq e Siria, un numero di sortite a fuoco che è circa pari a quelle che, nel 1991, la coalizione di Desert Storm faceva in quarantott’ore. E’ così che si vuole distruggere l’Isis e, contemporaneamente, abbattere al-Assad? Ridicolo! La Libia insegna (e in questo diamo volentieri ragione a Matteo Renzi) che non si può distruggere un regime senza sapere chi riempirà il vuoto. Anzi, nel caso della Siria lo sappiamo già: lo farà lo Stato Islamico.
E allora, ecco che le carte che Putin da tempo va licitando – ma che ora sta apertamente scoprendo sul tavolo – cominciano ad essere appetibili anche per i palati più delicati. Nell’Unione Europea, dove la visione strategica di alcuni Paesi (non di quelli dell’Est) si sta un po’ differenziando da quella degli Stati Uniti, ora si inizia a ragionare senza fare troppo gli schizzinosi. Solo Hollande resiste, ancora una volta, in un’inutile “fai da te”. Forse persino Obama – non lo vuole dire, ma probabilmente lo pensa – comincia ad accorgersi che bisogna battere un nemico alla volta, cominciando da quello più pericoloso.
Putin, certamente perché ciò porta più acqua al suo mulino, ne è convinto da sempre ed esorta tutti a combattere, in un’unica coalizione, la minaccia più seria per la pace e la stabilità regionale. Che certo, al punto in cui siamo, non è al-Assad. Poi, si vedrà.
Cosa c’entrino in questo gioco le pruderie di François Hollande è tutto da spiegare. Per ora, confidiamo su un accordo della secret diplomacy tra Usa e Russia e incrociamo le dita. Poi, facciamo i voti perché Hollande, con la sua spocchia, non abbia già attirato sulla douce France una nuova serie di attentati. I nostri cugini a volte forse sono un po’ indisponenti, ma questo certo non se lo meritano.