Un settore da valorizzare e per questo da sostenere. Per non vederselo portare via un pezzo alla volta, come già successo, purtroppo, su altri fronti.
E’ la farmaceutica, i cui maggiori rappresentanti si sono dati appuntamento questa mattina al Senato per rimarcare da una parte il proprio ruolo nell’Italia industriale, dall’altra per chiedere alle istituzioni di non fare della spending review l’alibi per azzoppare un’industria da 30 miliardi di produzione all’anno a suon di tagli alla spesa sanitaria. Perché industria del farmaco e finanze pubbliche sono legate a doppio filo: lo Stato spende e compra i farmaci prodotti dai big privati.
Anche per questo nel corso del seminario al Senato, organizzato dal Centro Studi Crea, è stato illustrato il caso della Novartis, gigante svizzero della farmaceutica, la cui divisione italiana impatta significativamente sulle finanze pubbliche, sia termini di risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale sia di tasse versate. Obiettivo del dibattito, che ha visto la partecipazione di Georg Schroeckenfuchs, ceo di Novartis Italia, sottolineare i vantaggi per cittadini e casse pubbliche derivanti da una corretta spesa sanitaria, che in Italia è invece tra le più basse e disarticolate d’Europa, secondo gli organizzatori.
NOVARTIS ITALIA, COME CI GUADAGNA (ANCHE) LO STATO
Il caso di studio di Novartis Italia è stato redatto dal presidente di Crea, Federico Spandonaro, ordinario di Economia sanitaria presso l’Università di Tor Vergata. Lo studio,trae origine dai bilanci del gruppo 2012-2014 e dimostra come in termini di introiti diretti lo scorso anno lo Stato abbia incassato dall’attività di Novartis in Italia circa 300 milioni, a fronte di una spesa per la compravendita di farmaci Novartis di 1,3 miliardi. Incassi per la quasi totalità frutto del pagamento delle imposte: tanto per dare un’idea, dei 300 milioni quasi 170 sono riconducibili all’Iva versata sulla vendita dei farmaci, mentre altri 73 milioni arrivano dal gettito delle imposte correnti. Ma lo Stato ci guadagna anche in termini di risparmi per il Servizio Sanitario e che nel 2014 hanno toccato quota 2 milioni, frutto delle sperimentazioni cliniche di ultima generazione operate dall’azienda nel Paese. Il grosso dei rispermi però, circa 184 milioni, arriva dalla vendita di farmaci cosiddetti equivalenti o biosimilari. Più in generale la farmaceutica in Italia, secondo stime fornite da Farmindustria, genera ogni anno una produzione per un valore di 29 miliardi a fronte di investimenti per 2,5 miliardi, di cui 1,3 in Ricerca e Sviluppo. I big del farmaco però devono essere incentivati a investire in Italia, altrimenti addio business.
UN BUSINESS DA PROTEGGERE
Sulla questione non è mancata l’opinione del governo, rappresentato per l’occasione da Marco Simoni, consigliere del premier Matteo Renzi, e Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del Ministero dell’Economia. Per Simoni “è essenziale mantenere un rapporto con questo settore, un rapporto che sia anche un dialogo con i cervelli presenti nella ricerca. Il governo vuole e deve andare avanti in questo senso”. Dello stesso avviso Pagani, che ha ribadito come “gli investimenti diretti esteri in Italia sono un motore per lo sviluppo e la crescita. Per questo il governo è impegnato ad attrarre queste risorse, creando le migliori condizioni possibili per il business, come si sta facendo con la riforma del lavoro”.
IL NODO DEL SERVIZIO SANITARIO
I nodi al pettine arrivano però puntualmente dalle attuali lacune del Servizio Sanitario, su cui bisogna intervenire al più presto. Emilia Grazia De Biasi (Pd), presidente della commissione Sanità e Igiene del Senato, ha detto “è insostenibile che ad oggi ci siano ancora 21 sistemi sanitari diversi, per ogni Regione. E che ci siano ancora diversi tipi di ticket. Così si lascia il cittadino da solo”. De Biasi ha quindi sollecitato l’esigenza di un sistema “più universale” per il quale “tutti i cittadini sono uguali davanti all’aspirina e davanti ai farmaci oncologici”.
CONCILIARE SPENDING REVIEW E INNOVAZIONE
Il problema di fondo rimane però come conciliare le esigenze di spesa con le necessità dettate dall’innovazione e dalla ricerca. Un problema sollevato dallo stesso presidente di Crea, Spandonaro, per il quale le manovre susseguitesi in questi anni, tradottesi in tagli, sono state poco lungimiranti e non hanno tenuto conto dei loro effetti sulle dinamiche di lungo termine. Anzi, spesso i risparmi stimati dai tagli “sono stati sopravalutati”. Per il professore di Tor Vergata occorre oggi ripensare gli interventi sul comparto sanitario “considerando i loro effetti nel complesso”.