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A spasso nella Consulta con Sabino Cassese

Sabino Cassese, protagonista qualche settimana fa al Meeting di Rimini di un intervento raccontato da Formiche.net, ha pubblicato per il Mulino Dentro la Corte, un suo “diario” da giudice costituzionale.

E’ un documento straordinario per un Paese come il nostro dove – come dice lui stesso – “i titolari di cariche pubbliche raramente scrivono libri di memorie o pubblicano i diari delle loro attività”. Eppure – a parte qualche recensione veloce – è come se non fosse stato letto. Eppure quelle pagine contengono annotazioni e riflessioni giuridiche alternate a giudizi “politici” che farebbero la gioia dei retroscenisti dei quotidiani. Quando – nel 2014 – la Consulta discute di unioni civili, per esempio, a Cassese arriva un biglietto con la scritta: “Perché il Papa non è rimasto ad Avignone?”.

Il suo dunque è un vero diario, con annotazioni curiose, persino divertenti, che raccontano la vita quotidiana di un giudice costituzionale, mescolate a riflessioni sulle decisioni prese, sul ruolo della Corte, sul suo funzionamento, sugli altri sistemi (sono moltissime infatti le osservazioni su decisioni delle Corti degli altri Paesi, specie degli Usa e della Germania).

Quel che Cassese fa fin dall’inizio è discutere la consuetudine di eleggere presidente il giudice più anziano, scelta che “significa anche soddisfare l’ambizione di molti di essere per qualche tempo la quarta carica dello Stato e di poter poi fregiarsi del titolo di presidente emerito”. Dunque, osserva nei primi giorni del suo mandato, nel novembre 2005, per distinguersi in quel contesto sarebbe preferibile scegliere “in base al criterio della rarità”.

Conferenziere di successo tra gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, con un passato da scholar alla Stanford Law School e di professore alla Law School della New Yok University oltre che alla Normale di Pisa, una carriera di studioso, insegnante, amministratore pubblico e privato, lettore quasi “bulimico”, appassionato di letteratura ma anche di cinema, Cassese arriva alla Corte Costituzionale e scopre che “l’atmosfera è a metà tra convento e collegio di studenti”; annota nei primi giorni del suo mandato che la Corte “è come un cestino per la carta straccia” dove finiscono questioni importanti e questioni irrilevanti.

Il diario è ricco di annotazioni sui casi che in questi anni hanno occupato le pagine dei giornali, da Previti alla costituzionalità della legge elettorale, dal potere di grazia al caso Englaro, dalle extraordinary renditions alla procreazione assistita, al lodo Alfano, a molti altri; si sofferma su diverse questioni apparentemente minori ma importanti (il caso di una radio e di una legge sugli operatori nazionali merita nel libro un capitoletto intitolato Kiss Kiss); elenca alcuni “temi futili e ridicoli”, come quello della “certificazione dell’Azienda sanitaria per la movimentazione del bestiame per evitare la diffusione della febbre catarrale”.

In Dentro la Corte si apprende anche di “discussioni accese” il giorno che nevicò Roma, perché la neve aveva impedito la presentazione di un ricorso dell’Avvocatura dello Stato che pervenne fuori termine. “L’Avvocatura è un ufficio giudiziario? Lo è la Corte Costituzionale? Non è vero che gli uffici postali erano regolarmente funzionanti?”.

Molti  giudici che pongono questioni alla Corte sono definiti “ignoranti” (giudizio attribuito da Cassese al presidente fino al luglio 2006, Annibale Marini).

Quanto al lavoro dei giudici costituzionali, il diario vira sul comico: “Un collega, dopo una ‘settimana’ di lavoro iniziata il lunedì pomeriggio e terminata la sera di martedì, ripete ironicamente lo slogan degli anni ’70: lavoro zero, salario intero”.

Scrive Cassese che anche le udienze pubbliche si rivelano una delusione, sono spesso “inutili”, “un rito in cui nessuno crede”, un “presepe” in cui gli avvocati arrivano impreparati e spesso non fanno neppure domande. Quando poi si esce dal Palazzo e si partecipa a “qualche funzione esterna”, si legge ancora nel Diario, “ci sarebbe da dar ragione a quelli che ritengono la Corte italiana ‘Villa Arzilla’, una casa di riposo per vecchi”

Quando entra alla Corte Costituzionale Cassese si stupisce che non si raccolgano in modo sistematico le sentenze delle Corti degli altri Paesi. Quando ne esce la Corte accoglie “sistematicamente” le sentenze costituzionali straniere e traduce in inglese le proprie. Altre sue proposte rimangono invece al palo, come alcune misure per “fare risparmi”: “non sono stati fatti e il bilancio non è più sostenibile”.

La sua nomina era stata voluta fortemente da Carlo Azeglio Ciampi e Cassese racconta di averlo “fatto attendere” ma di aver poi accettato anche perché – come dirà ai suoi studenti congedandosi – “le cariche pubbliche, se offerte, non si rifiutano”.

Con qualche compiacimento riproduce in chiusura del volume l’articolo con cui Eugenio Scalfarì raccontò la sua nomina (insieme a Giuseppe Tesauro e Maria Rita Saulle) il 3 novembre del 2005 da parte dell’allora Presidente: tre “tecnici”; si scrisse allora. Scalfari raccontava di un Berlusconi “infuriato” che minacciò di non controfirmare la scelta del Presidente. Ma non lo fece. In Dentro la Corte Cassese scrive anche di sua una visita a Ciampi, che gli confida che sul suo nome Berlusconi non era d’accordo. “Gli ricordo che avevo curato la preparazione, nel 1993-1994, di una legge generale sulla televisione” e che “Berlusconi aveva dichiarato di esser costretto a ‘scendere in politica’ per difendersi da chi voleva regolare il Far West televisivo”.

Cassese è stato anche giudice relatore, nel 2013, della sentenza che diede torto a Berlusconi sul conflitto di attribuzione sollevato dall’ex Cav nei confronti del Tribunale di Milano. Ma appena terminato il mandato – nel novembre del 2014 – Il Foglio lo ha definito “il perfetto presidente della Repubblica perché non è “mai diventato un militante dalle tre narici”, non ha mai brandito la Costituzione “come se fosse un’arma da sfasciare sulla testa di qualche outsider malcapitato”.

La Costituzione non prevede sanzioni. Si potrebbe dire ‘imputet sibi’, perché così il Parlamento gioca un ruolo , a suo danno.

Nel libro in compenso più di una volta critica la crescente tendenza anche dei “presidenti ponte” a fare dichiarazioni alla stampa; una tendenza che “risponde alla logica del segnalarsi, del farsi notare come presidenti anche balneari. Il moralismo, in questi casi, è rivolto agli altri, al Parlamento che non elegge due componenti della Corte. Ma da quale pulpito viene la predica? Non sarebbe meglio star zitti?”.

Cassese vorrebbe la dissenting opinion, ovvero la possibilità di rendere pubblico un parere diverso rispetto a quelo adottato dalla Corte. Lo argomenta da tempo, sostenendo anche che non serve una legge perché la Corte cominci a funzionare così, e lo fa in appendice anche in Dentro la Corte. Se la Corte pubblicizzasse il modo in cui si è arrivati ad una certa decisione si arricchirebbe il dibattito invece di procedere, in modo sempre più incerto, sulla strada del “segreto”. Un segreto che magari uno dei tanti presidenti scioglierà appena diventato emerito.

L’ultimo capitoletto si intitola Gute Nacht, come un lied di Schubert. E con un verso da questo lieder, in tedesco e vezzosamente senza traduzione, si chiude il diario. C’è scritto: “Da straniero sono venuto, da straniero me ne vado”.


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