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Perché non capisco più Bersani e D’Alema

Non posso essere definito un renziano. Gli amici veri, quelli che frequento anche su Facebook, lo sanno. Ma mi sforzo di essere oggettivo. Non posso appartenere alla minoranza Pd per un motivo semplice e di onestà intellettuale: da almeno 30 anni non mi sento di definirmi una persona di sinistra. Ma di centrosinistra sì. In nome di questo ho votato nel 1991, da dirigente del Pci, per il suo scioglimento e poi ho aderito al primo Pds perché credevo che, dopo il Pci, la sinistra dovesse, obbligatoriamente, evolvere verso qualcosa di più moderno, vincente e di centrosinistra. Avrei voluto 30 anni fa che l’ex Pci si chiamasse partito socialista democratico.

Ma allora la socialdemocrazia faceva schifo alla maggioranza di quelli che dirigevano l’ultimo Pci e poi il nuovo Pds. Poi, con 30 anni di ritardo, i D’Alema e compagnia si sono convinti e oggi loro fanno lezioni (si fa per dire) a quelli come me definendosi loro riformisti, socialisti ecc. Autodefinizione raggiunta da loro solo in età veneranda e per pura costrizione (tutto il loro corredo concettuale ed identitario era fallito o inservibile o innominabile). Pazienza. Solo che lo hanno fatto con 30 anni (anzi 40) di ritardi.

Oggi, purtroppo, anche la socialdemocrazia, per raggiunti limiti di età anagrafica è finita. Muore nel suo letto, però. E non uccisa dall’odio giustificato dei popoli che governava come il comunismo. Comunque la socialdemocrazia è andata. E la sinistra dovrebbe inventarsi qualcosa di nuovo. Sembrava che alcuni lo avessero capito. Veltroni, Bersani ed altri non possono essere definiti dei conservatori come lo è, purtroppo, D’Alema. Loro avevano capito che la sinistra, per innovarsi e tornare a vincere (in Europa e non solo in Italia) doveva allargarsi al centro e a valori che, per noi vecchia sinistra, sembravano (sbagliando) moderati e non antagonistici: la crescita, il merito, la competitività, il buongoverno, la pubblica amministrazione moderna, la buona impresa, le liberalizzazioni, le privatizzazioni. E diventare riformisti in senso proprio (è riformista chi propone o fa riforme) e non agitatori opportunisti della parola “riformismo” ma senza fare riforme e, anzi avversandole. Insomma quello che in Europa, a sinistra, hanno fatto solo i Blair e gli Schroeder. Non certo distruttori e sfasciacarrozze pericolosi come gli Tsipras ( l primo), i Varoufakis, i Podemos ecc. Insomma costruire, al posto della sinistra, un centrosinistra. Questo era il progetto dei Veltroni, dei Bersani, dei Letta. Che io ho sostenuto (diffidando invece dei D’Alema e dei conservatori). E che sostengo anche oggi: fare il centrosinistra.

Oggi, però, la minoranza Pd, in odio a Renzi, questo progetto di modernizzazione della sinistra non lo persegue più. E’ tornata ad agitare la parola sinistra al posto di centrosinistra. Propone alleanze con una inesistente, velleitaria, inutile e minoritaria sinistra estrema invece che alleanze al centro. Guarda alla sinistra sfascista e antieuro in Europa invece che ai grandi partners dell’ideale europeista.

Si oppone a tutte le riforme di Renzi senza distinzione invece che incalzarlo su di esse (che vuol dire sostenerlo quando le fa). Ha smesso di criticare il nullismo e l’agitazionismo sindacale di sinistra, impotente e perdente. Lei, la minoranza del Pd, che quando governava e alla guida del Partito democratico, sollecitava ( anche criticamente) un sindacato partecipativo, collaborativo, costruttivo. Che sinistra è quella che tollera l’inutilità e la marginalità, autoconclamata, del sindacato attuale? Ora la minoranza Pd, per mancanza di meglio, torna ad agitare, contro Renzi, l’idea dell’Ulivo. Che era, anche se a me non piaceva, un’alleanza di centro-sinistra. Ma che andava dai trotszkisti a Mastella: un caravanserraglio. Che portò la sinistra a sconfitte e paralisi.

Ma oggi? Cosa sarebbe l’Ulivo? Quello di D’Alema aperto solo ad alleanze a sinistra e senza centristi? E cosa c’è a sinistra del Pd oggi che non sia vecchiumecestremista e nullismo elettorale? L’Ulivo di oggi sarebbe un cupo aggregato di sinistra, un assemblaggio di minoranze accidiose e deleterie. Peggio, molto peggio di quello del passato. Non è meglio l’idea di Renzi, che era quella di Bersani, Veltroni e Letta: un grande Pd a vocazione maggioritaria e aperto all’alleanza con i moderati per vincere le elezioni?

Se la minoranza Pd torna a fare la sinistra e smette di avere il progetto del centrosinistra, se la sua massima aspirazione è fare l’Ulivo (che vuol dire mettersi al tavolo con partitini e gruppetti di sinistra che rappresentano solo se stessi e idee sfasciste, minoritorie, antieuropee, conservatrici), si condanna alla deriva e all’irrilevanza. Io non credo che i Bersani, i Letta e i Veltroni siano persone da piccolo Ulivo di sinistra. E spero che lo dicano correggendo il minoritarismo arcaico di D’Alema. E che, al posto di miserabili scissioni, lavorino ( in vista del congresso del 2017) a competere in positivo con Renzi nel dare corpo, idee, progetti, obiettivi al disegno del centrosinistra.

Non voglio credere che Bersani e Letta abbandonino il progetto del grande Pd maggioritario e di centrosinistra, partito del Bene Comune nazionale, come loro amavano dire. Se lo fanno, dando retta a D’Alema, sarebbe una svolta. E sarebbe, per ciò che resta di quella tradizione, veramente finita. E comunque, se lo fate, not in my name, direbbero gli anglosassoni.

(post tratto dal profilo Facebook di Umberto Minopoli)


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