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Primarie a Milano, peggio delle fatiche di Sisifo?

La scelta dei candidati a sindaco di Milano è pari ormai alle mitiche fatiche di Sisifo. Per quanti sforzi si facciano per trovare la soluzione si torne sempre al punto di partenza. Ciò vale sia per il centro destra che per il centro sinistra.

Il tasso di creatività è molto alto ma dubbi e rifiuti finiscono per insabbiare una dopo l’altra le ipotesi. Tutto questo è un sintomo evidente della crisi dei partiti e della mancanza di leadership autorevoli ma non basta affidare ai cittadini la facoltà di scegliere le candidature senza un progetto condiviso da aggregazioni omogenee. Trovare un candidato non è impossibile ma bisogna poi essere in grado di governare realizzando i programmi elettorali, a meno che (cosa che allo stato non è realistica) l’autorevolezza dei candidati sia tale da costituire di per sé un elemento di garanzia.

Partendo dalla premessa che il sistema elettorale rende necessarie le alleanze è interessante osservare che mentre nel centrosinistra sono numerosi i candidati (spesso autocandidati), nel centrodestra la gara sembra essere a rinunciare alle offerte di candidatura anche sotto l’effetto di un gioco ad excludendum che falcidia le proposte. Non bisogna però dimenticare che Milano è una comunità aperta al cambiamento e all’innovazione, ha una forte vocazione solidale ma in essa sono radicati i valori del lavoro, del riconoscimento del merito come “ascensore sociale”, della legalità e della sicurezza. Per questo non sono ininfluenti i contenuti dei programmi, che non appaiono ancora nitidamente a partire dalle questioni urbanistiche aperte, le cui soluzioni incideranno sul futuro della città.

Ma il nodo politico è forte. Si può accusare il segretario del PD (a prescindere dal giudizio che se ne dia) di “atteggiamento proprietario” se vuole determinare la scelta del candidato sindaco della città-simbolo del motore dell’economia nazionale? La vicenda delle primarie a Milano è una questione terribilmente seria perché mette in discussione la natura (e l’esistenza) dei partiti con il rischio di trasformarli in associazioni temporanee e occasionali di scopo su base locale. Non è in discussione la scelta delle candidature da parte degli iscritti ma di cedere la sovranità della scelta a tutti gli iscritti e simpatizzanti di uno schieramento politicamente poco omogeneo di partiti e di movimenti.

Se così non fosse non si capirebbe perché alcuni degli “alleati” di Renzi a Milano sparano a palle incatenate contro il Governo in Parlamento. È ben vero che le primarie sono state anche alla base delle fortune di Renzi e del PD, ma è altrettanto vero che sono state anche all’origine di gravi sconfitte. Detto ancor più chiaramente, con le primarie di coalizione può accadere che il voto degli “alleati” porti a vincere un candidato che esprime un orientamento ostile a quello del segretario nazionale del PD.

Tutto ciò accade perché il modello delle primarie è stato importato troppo frettolosamente da una realtà culturale, politica e istituzionale profondamente diversa come quella americana, in cui i partiti hanno un ruolo del tutto marginale, al contrario del nostro paese in cui, nonostante tutto (in particolare per la sinistra) sono un elemento fondante della nostra storia e della nostra democrazia.



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