Con il discorso di chiusura della festa nazionale dell’Unità Matteo Renzi ha voluto allungare ulteriormente le distanze dalla minoranza del Partito Democratico, che lo contesta come segretario e come presidente del Consiglio. Altro che la “convenienza” suggeritagli dal direttore del Foglio Claudio Cerasa di portare con sé a Palazzo Chigi, chissà poi con quale incarico di governo, il dissidente Pier Luigi Bersani: quello autentico, non nella versione simpatica di Maurizio Crozza.
Renzi ha liquidato l’ex segretario e tutti gli altri oppositori interni, senza neppure nominarli, come i signori del “no” in un partito, e soprattutto in un Paese, che ha bisogno del “sì”. Un sì grande come una casa anche alla diminuzione delle tasse, e all’abolizione di quelle sulla prima casa, senza tante storie, senza la solita caccia ai soliti ricchi: una categoria che, stando a quei signori del “no” comincerebbe da chi prende una pensione di tremila euro lordi mensili o ha una seconda casa, e dovrebbe vergognarsi delle sue condizioni perché offenderebbero i pensionati al minimo e i disoccupati: tutti vittime di quei dannati tremila euro.
A Massimo D’Alema, che durante la stagione delle feste dell’Unità si era voluto particolarmente esporre come oppositore interno del segretario iscrivendolo d’ufficio addirittura alla scuola comunista di Giuseppe Stalin, il segretario del Pd ha reagito con un silenzio assordante. Non gli ha riservato neppure un “D’Alema chi?” di fassiniana memoria: fassiniana da Fassina, non da Fassino, il sindaco di Torino che è un sostenitore convinto di Renzi. Convinto e coerente con il coraggio avuto da ultimo segretario dei Ds-ex Pci di riconoscere in un bel libro autobiografico la modernità del socialismo di Bettino Craxi e il carattere quasi arcaico, e comunque perdente, della sinistra rappresentata da Enrico Berlinguer.
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Prima del silenzio assordante di Renzi era già caduta sulla testa di D’Alema una grandinata, costituita dagli urticanti commenti di addetti ai lavori della politica, diventati specialisti non foss’altro per averla a lungo raccontata, peraltro in anni in cui non dico che fosse popolare, ma certamente meno impopolare di adesso.
Fra gli attacchi più documentati e taglienti a D’Alema, che già da ragazzo era riuscito a stupire Palmiro Togliatti in un congresso facendosi scambiare per “un nano di quarant’anni”, tanto era il contrasto fra la nettezza delle parole e degli argomenti e il suo aspetto fisico, si è distinto su ItaliaOggi il direttore Pierluigi Magnaschi. Fra i più delusi è stato sul Foglio, sia pure in forma anonima, il fondatore ed ex direttore Giuliano Ferrara. Che ha chiesto a D’Alema in un titolo che più eloquente non poteva francamente essere: “Ma quando cresci?”.
Eppure in occasione di ben due turni di elezioni presidenziali, quelle del 1999 e del 2006, Giulianone si spese non poco con Silvio Berlusconi per consigliargli di sostenere dalle posizioni di centrodestra la candidatura di D’Alema al Quirinale per ragioni di realismo politico, che sono poi le ragioni della convenienza. Ma Berlusconi non si lasciò convincere. E D’Alema fu fermato dai suoi compagni di partito, che nel 1999 gli preferirono Carlo Azeglio Ciampi e nel 2006 Giorgio Napolitano. Il Colle si risparmiò così l’arrivo di un immaturo, come dovrebbe essere considerato uno che non si decide a crescere, come appunto gli rimprovera Ferrara difendendo Renzi, il “royal baby”, dai suoi attacchi.
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“Attacco disumano”: così Il Giornale ha definito su tutta pagina quello sferrato da Renzi a Matteo Salvini, ma anche a Beppe Grillo e a tutti quelli che si stanno facendo concorrenza nel contrastare l’accoglienza dei disperati che fuggono in Europa dalle guerre e dalla miseria. E che, secondo il presidente del Consiglio, dividerebbero la politica non fra destra e sinistra, ma fra “umani e bestie”.
Fra qualche giorno tuttavia il direttore del Giornale ospiterà e intervisterà Renzi alla festa del quotidiano della famiglia Berlusconi fondato nel 1974 da Indro Montanelli. Un appuntamento del quale il capo del governo, e segretario del Pd, saprà profittare per corteggiare e probabilmente anche conquistare il pubblico berlusconiano, a dispetto dell’opposizione giornalistica e politica praticatagli, almeno con le parole, da quella parte.