Nell’esordio come tutore, controllore, sostanziale commissario di Ignazio Marino, chiamatelo come volete, il prefetto Franco Gabrielli ha usato il bastone e la carota parlando del sindaco di Roma. Ma il bastone è stato nodoso, la carota alquanto farlocca.
Il bastone è stato nodoso quando Gabrielli ha ricordato di avere il potere di sciogliere il Comune della Capitale in ogni momento, se ne ravvisasse la necessità d’intesa, naturalmente, con il governo di cui è rappresentante. E’ tornato a essere nodoso quando il prefetto ha stigmatizzato le troppo lunghe vacanze di Marino dicendo di avergli potuto parlare al telefono “fra un’immersione e l’altra” del primo cittadino della Capitale nelle acque dei Caraibi, nonostante a Roma stesse succedendo di tutto e di più.
La carota farlocca è stata quella con la quale il prefetto ha riconosciuto a Marino di essere l’unico sindaco di Roma, provvisto cioè di tanto di carta intestata e di fascia tricolore per le cerimonie. Salvo scioglimento, però, come già annunciato o minacciato, e come il sindaco ha omesso di ricordare nella lettera con la quale, sul Messaggero, ha ricordato orgogliosamente al “maestro Proietti” di essere ancora il comandante in capo del Campidoglio.
Farlocca anche la carota con la quale Gabrielli ha ricordato l’investitura popolare di Marino, eletto direttamente dai cittadini, come lo stesso Marino usa ricordare frequentemente, spalleggiato dal presidente del Pd, e commissario della federazione romana, Matteo Orfini. Quell’investitura però appartiene al passato, essendo i sondaggi da qualche mese a questa parte devastanti per quello che ormai il sindaco sembra diventato, ricordando l’indimenticabile Alberto Sordi: un americano a Roma.
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Anche in Vaticano sembra scoppiato, con le dovute proporzioni, un caso Casamonica, il boss celebrato al Tuscolano con funerali sfrontati e criticati anche dall’Osservatore Romano, nonostante il parroco romano della zona avesse appena rivendicato il suo assenso dicendo che sarebbe tornato a darlo, se gliene fosse stata offerta l’occasione, cioè se un altro boss fosse morto e i suoi familiari credenti gli avessero chiesto di mettergli a disposizione in pompa magna anche la sua chiesa.
In particolare, quello che sembrava essere diventato l’ex arcivescovo polacco e Nunzio apostolico nella Repubblica Domenicana, Józef Wesołowski, ridotto allo stato laicale e finito sotto processo dentro le Mura leonine per pedofilia, ha ottenuto in morte i funerali con tutti i paramenti di un porporato di rango. E la messa in suo onore è stata celebrata dall’elemosiniere del Papa. Che magari si sfogherà, o spiegherà, in una telefonata a Eugenio Scalfari, che poi riferirà ai lettori domenicali delle sue ormai auguste riflessioni e confidenze.
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Ma Pietro Grasso, presidente del Senato, ha deciso o no di mettere ai voti, quando verrà il momento nell’aula di Palazzo Madama, l’articolo chiave della riforma dello stesso Senato? Che è il numero 2: quello che stabilisce l’elezione dei senatori da parte non più dei cittadini ma dei Consigli Regionali, per quanto malmessi nella considerazione generale per sperpero di danaro pubblico ed altro.
Alla festa dell’Unità, nei giardini milanesi che ricordano Indro Montanelli, il presidente del Senato aveva appena annunciato, davanti alla sbigottita vice segretaria renziana del Pd Debora Serracchiani, che quell’articolo 2 non potrà sottrarsi a un altro voto a Palazzo Madama, essendo stato modificato alla Camera, sia pure per una semplice ma galeotta preposizione. E’ bastato tuttavia un vistoso titolo della Repubblica scritto in sintonia con la sorpresa, gli affanni e le paure dei sostenitori del presidente del Consiglio, perché Grasso precisasse di non avere ancora deciso, tornando però a sollecitare un improbabile accordo nella maggioranza sugli aspetti controversi della riforma. Anche il presidente della Repubblica ha tenuto a tenersi fuori dal problema, neppure come persona informata delle intenzioni di Grasso.
Intanto Silvio Berlusconi, per quanto ancora in contatto con il fuoriuscito e ormai renziano Denis Verdini, ha dato ai suoi capigruppo la disposizione di annunciare che nelle condizioni attuali i forzisti rifiuteranno soccorsi a Renzi e voteranno contro la riforma del Senato.
Chi vivrà vedrà.