Qualcuno ha definito la situazione siriana un vero e proprio pantano e non si stenta a coglierne il senso. Oltre 4 milioni di siriani hanno lasciato in questi anni di conflitto il Paese, dando vita a una vera e proprio diaspora. Un esodo – come lo ha definito l’Economist – divenuto a poco a poco emergenza e poi crisi politico-migratoria per l’Europa, chiamata a farsi carico di parte di questi flussi (senza riuscirci troppo, come ha spiegato l’editorialista Stefano Cingolani).
IL CALDERONE SIRIANO
A rendere ancor più complessa la situazione c’è il fatto che ogni tipo di soluzione diplomatica, caldeggiata dagli Usa e dalla Nato, sembra oggi lontanissima. A renderla difficile sono i tanti (e divergenti) interessi dei Paesi presenti sul territorio della Siria, che hanno creato nel tempo un groviglio difficile da sbrogliare e che sta complicando non poco l’operato della coalizione internazionale anti Isis. Una mappa di alleanze diverse che si incontrano e scontrano, come ha scritto sul Fatto Quotidiano Giampiero Gramaglia: “Il calderone Siria è in bilico tra diversi destini: oggi lì si incrociano le intelligence di mezzo mondo. Senza che nessuna, apparentemente, ci cavi un ragno dal buco. Salvo accorgersi – a cose fatte – che arrivano i russi, che non sono i ‘nostri’, bensì i ‘suoi’ del presidente al-Assad, uno dei tanti cattivi di questa storia”.
I FRONTI CONTRAPPOSTI
Ma chi si combatte in Siria? E da quanto? “Sin dal 2011 – spiega a Formiche.net Matteo Bressan, analista della Nato Defense College Foundation – chi voleva realmente vedere in faccia la realtà delle cose, aveva ben chiaro che in Siria ci sarebbe stato uno scontro tra potenze regionali. Non è infatti un mistero che attraverso la Siria si intrecciano e si scontrano gli interessi di Iran, Turchia, Giordania, Israele, Arabia Saudita e Qatar. La Siria è strategica per l’Iran per avere una continuità territoriale nell’ambito della cosiddetta “mezzaluna sciita” che va da Teheran, passa per l’Iraq attraversa la Siria e arriva nel Sud del Libano con gli Hezbollah. Turchia e Arabia Saudita insieme ad altri attori hanno cercato in questi anni di rompere questa continuità per limitare e contrastare l’influenze iraniana nell’area e, dopo l’accordo sul nucleare iraniano, hanno aumentato la pressione sulla Siria, cercando di coinvolgere la Giordania con l’intento di rovesciare Assad”.
GLI ALTRI ATTORI
In questo scontro, rimarca Bressan, “non dobbiamo però dimenticare almeno altri 3 fronti potenzialmente esplosivi e mi riferisco agli scontri avvenuti in questi anni tra Israele ed Hezbollah sul Golan, il ruolo dei curdi di Siria che dovo esser stati l’unico bastione contro lo Stato Islamico aspirano ad ottenere una forma di autonomia nelle aree liberate (Kobane e Tal Abyad, in parte le zone del cosiddetto Kurdistan siriano) e il sempre più precario fronte libanese che ha subito con conseguenze politiche e umanitarie quanto stava avvenendo in Siria”.
IL PERICOLO SMEMBRAMENTO
Quanto al futuro del Paese, ci sono diverse opzioni, sviscerate su Formiche.net dal generale Carlo Jean. Tra queste, anche quella di un’implosione. “Non è un mistero – prosegue l’analista – che molti intravedano in un possibile smembramento dello Stato siriano uno dei possibili scenari ed esiti di questa crisi. Uno smembramento, che guardando oggi la situazione sulla carta geografica, farebbe pensare ad una piccola Siria in mano agli Assad protetta da russi, iraniani ed Hezbollah libanesi, una micro regione autonoma dei curdi al nord e, nella restante parte del paese l’incognita dello Stato Islamico”.
L’ESCALATION MILITARE
Dopo 4 anni di guerra, infatti, la Siria è ormai diventato il campo di battaglia di una lista di attori esterni che avevano ben poco a che fare con la rivolta del marzo del 2011. “Stiamo – puntualizza ancora Bressan – assistendo a un’escalation militare con conseguenze in parte imprevedibili e in parte anticipatrici di un possibile punto di svolta”.
LA MOSSA RUSSA
Ad accelerare le cose, come detto, c’è il crescente protagonismo della Russia, sul quale si addensano i timori dell’Alleanza atlantica, che teme una situazione ancora più difficile da gestire. “Non mi stupisce né tanto meno risulta esser una novità – dice Bressan – vista la presenza storica della Russia in Siria e i suoi interessi sul Mediterraneo da una parte è un ulteriore credito ad Assad dall’altra è un messaggio e un deterrente agli altri attori in gioco. Esattamente come nel 2013 quando sembrò profilarsi un possibile intervento da parte degli Stati Uniti e altri paesi contro Assad accusato dell’attacco chimico di Ghouta, la Russia esercitò, inviando alcune navi da guerra nel Mediterraneo, quello che molti in Europa hanno dimenticato, ovvero un netta e chiara azione geopolitica e di deterrenza”.
LE TENSIONI TRA USA E RUSSIA
Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Grecia di non concedere a Mosca il proprio spazio aereo per voli verso la Siria, temendo un intensificarsi del sostegno militare ad Assad (per ora negato dal Cremlino, nonostante l’intelligence americana dica di averne foto satellitari). “Dubito – dice l’analista della Nato Defense College Foundation – che ci sia una concreta volontà di scontro tra Stati Uniti e Russia per dirimere gli equilibri in Siria, ma possiamo dedurre che qualcosa rispetto agli interventi unilaterali in Iraq del 2003 e in Libia del 2011 sia decisamente cambiato. La stesse prese di posizione in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e i veti da parte di Russia e Cina in questi anni ad azioni militari contro Assad sono la testimonianza e il messaggio che le due superpotenze stanno inviando a Washington per ribadire che interventi come quelli in Iraq del 2003 non saranno più tollerati. Se non comprendiamo questo non riusciamo a capire lo stallo e il disastro umanitario che si sta consumando in Siria dal 2011 ad oggi”.
IL DESTINO DI ASSAD
Tuttavia, rileva Bressan, non è detto che Russia e Iran, un altro dei giocatori fondamentali di questa partita, sostengano Assad per sempre: “Il sostegno russo e iraniano ad Assad non è mai mancato in questi anni tanto è vero che l’Iran ha inviato a coordinare le forze a sostegno del regime il generale Qasem Suleimani, l’uomo che si è scontrato per anni in Iraq con il generale Petraeus e che oggi si è trovato anche a sconfiggere sul campo di battaglia l’Isis, come avvenuto nell’agosto del 2014 nel caso della cittadina irachena di Amerli, insieme al supporto dell’aviazione americana. Un esempio quest’ultimo non certo voluto e concordato ma che ha di fatto battezzato una cooperazione sul campo inaspettata fino a poco tempo fa”.
IL PUNTO DI CADUTA
Ma fino a quando andrà avanti questa strategia? “Credo però che ci sia un punto di caduta a tutto questo e che il sostegno ad Assad abbia un costo molto elevato non solo economico ma umano sia per la Russia ma soprattutto per l’Iran e per gli Hezbollah libanesi. È chiaro che in questa fase Russia e Iran sono obbligate ad avanzare soluzioni diplomatiche al conflitto siriano che prevedano un ruolo politico di Assad e un’apertura alle opposizioni moderate ma è altrettanto evidente che alla lunga si potrebbe arrivare ad un regime change concordato che tuteli alcune dinamiche interne al paese e che possa soddisfare le ambizioni degli attori in campo. Certamente tutto questo oggi sembra lontano ed è difficile immaginare una rapida soluzione a distanza di 4 anni dallo scoppio della crisi e con un quadro dei rapporti ulteriormente aggravato. Penso però – conclude l’analista – che sia altrettanto difficile ipotizzare ad un ritorno della Siria a quello che era nel 2011”.