Il Cremlino ha invitato la Casa Bianca ad avviare una discussione a livello militare sulla situazione in Siria e il contrasto allo Stato Islamico. Una proposta che ora il Dipartimento di stato e il Pentagono stanno valutando, ma che non è vista di cattivo occhio a Washington. Anche se l’amministrazione Usa ha avvertito: bene la lotta all’Isis, ma niente aiuti ad Assad.
Quali sono le ragioni di questa offerta russa? Cosa cambierebbe in Medio Oriente? E cosa deciderà di fare Washington?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con è Carlo Pelanda (nella foto) coordinatore del dottorato di ricerca in geopolitica e geopolitica economica dell’Università Guglielmo Marconi di Roma ed editorialista di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza.
Professore, perché la Russia offre il suo aiuto a Washington in Siria?
Sono almeno sei mesi che questi colloqui vanno avanti in maniera riservata. La logica russa è di dare una mano agli Usa in questi teatri ingarbugliati, per poi farsi perdonare sia l’annessione della Crimea sia quella, sempre più probabile, dell’Ucraina orientale. Ma in questa decisione c’è anche un messaggio sottinteso: possiamo essere un buon collaboratore, non isolateci o finiremo sotto dominio cinese.
Qual è la strategia di Mosca?
La Russia sta facendo un’operazione intelligente. L’intento è quello di favorire la nascita di due Stati, con l’attuale Califfato che verrà trasformato in uno Stato sunnita, dentro un’aerea di influenza iraniana. Una sorta di cuscinetto sotto influenza saudita che impedirebbe al regime degli ayatollah di avere una continuità territoriale nell’ambito della cosiddetta “mezzaluna sciita” che va da Teheran, passa per l’Iraq attraversa la Siria e arriva nel Sud del Libano con gli Hezbollah. Una guerra combattuta finora attraverso “proxy” e finanziamenti anche a gruppi estremisti e che l’intervento russo aiuterebbe a risolvere. Senza dimenticare gli effetti e i risvolti che una simile cooperazione potrebbe avere anche in posti come la Libia.
Il segretario di Stato americano John Kerry però è stato categorico: niente aiuti ad Assad.
Ovviamente questo piano ha già previsto una via d’uscita per il dittatore siriano che verrà sostituito probabilmente con un altro di “famiglia”, che consenta agli alawiti di non vedere minati i loro interessi e a Barack Obama di salvare la faccia. Anche se l’amministrazione americana è in seria difficoltà su come comunicare questi progressi, nei think tank e nella burocrazia militare c’è molto consenso su questa soluzione.
Questo scenario metterebbe d’accordo tutti?
Tutti o quasi. La Russia guadagnerebbe una nuova base e maggiore influenza. Gli Usa risolverebbero un po’ di problemi, oltre a condividere alcune spese in questo teatro, anche se poi dovranno farsi carico della delicata trasformazione del sedicente “Califfato” in Stato. I sauditi, come detto, ne sarebbero contentissimi. Mentre ad essere meno felici sarebbero l’Iran e la Turchia, che avrebbe comunque il problema curdo da risolvere.