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Cosa faranno Obama e Putin in Siria. Parla Jakes (Foreign Policy)

A poche ore di distanza dal via libera del parlamento russo, sono iniziate oggi in Siria le incursioni aeree di Mosca in funzione anti Isis, con nella zona di Homs (un’area che però, secondo quanto hanno riferito ai media americani alti funzionari Usa funzionari Usa, non è sotto il controllo dello Stato Islamico, ma dei ribelli anti regime).
Ad ogni modo, l’intervento è partito su richiesta diretta del presidente Bashar al-Assad, alleato di Mosca, che per questo ritiene di essere l’unico Paese che agisce nel Paese su base legittima, nel rispetto del diritto internazionale.

Il sostegno russo al dittatore rappresenta ancora un punto di distanza tra la Casa Bianca e il Cremlino, che dopo i colloqui e i battibecchi dei giorni passati, non sembrano ancora aver trovato un accordo sul destino di Damasco e su un’attività comune di contrasto ai drappi neri che infestano la Siria e non solo.

LA FIGURA DI ASSAD

Per Lara Jakesdeputy managing editor of news per il magazine americano Foreign Policy, già corrispondente dell’agenzia Associated Press, per la quale è stata anche a capo dell’ufficio di Baghdad, un accordo tra le due potenze sarebbe possibile (e per certi versi auspicabile), a patto che la Russia smetta di dichiarare irremovibile, anche pubblicamente, il proprio appoggio ad Assad. “Per Washington l’allontanamento del dittatore siriano non è un punto negoziabile e non vedo al momento possibilità che si trovi un compromesso, anche se si combatte un nemico comune come l’Isis”.

LA STRATEGIA DI OBAMA

Sul tema, “Obama ha sempre considerato inevitabile la cooperazione con Putin: la Russia è sempre stata coinvolta nel processo, è membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha partecipato ai negoziati di Ginevra”. Ciò, “non vuol dire che sia contento di come Mosca sta gestendo le cose, anche perché esiste già una coalizione internazionale anti Isis ed è da quella che la Casa Bianca crede si debba ripartire”.

POCA COLLABORAZIONE

Secondo la giornalista statunitense, “gli Usa sono già andati incontro alla posizione russa: due anni dicevano che Assad doveva lasciare il potere immediatamente, dopo le violenze sui civili; ora accettano che vada via al termine di un processo di transizione controllata. Mosca, invece è rimasta sulla sua posizione”. “Sembra che Mosca – prosegue a Formiche.net – abbia voluto insinuarsi in una sorta di vuoto, dato da un cambio di strategia dell’amministrazione Obama, che dopo i mandati di George W. Bush ha deciso di ridurre al minimo la presenza di truppe sul terreno”.

IN CERCA DI UN COMPROMESSO

La situazione, rimarca l’esperta, si è evoluta “in un modo tale che Putin avrebbe grossa influenza nella scelta di un nuovo leader per il Paese, ma il Cremlino continua a dichiarare Assad il legittimo governante del Paese. Difficile dire quale potrebbe essere oggi un terreno comune”.



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