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Vi racconto cosa succede davvero al Cara di Mineo

Dopo Angelino Alfano, anche Maria Elena Boschi è arrivata ad ammettere che a Mineo va di scena un’anomalia a tutti gli effetti. Il ministro delle Riforme ha spiegato che il Cara di Mineo va riportato al più presto ad una «situazione ordinaria», attraverso la diminuzione del numero degli ospiti e addirittura il governo a questo punto starebbe «valutando se procedere alla sua chiusura». Tutto ciò è nato dopo diverse denunce sulle condizioni e i rischi all’interno e all’esterno della struttura e un’inchiesta shock come “Mafia Capitale”. Ma il caso è deflagrato dopo il duplice omicidio dei due anziani coniugi a Palagonia, rispetto al quale è in stato di fermo un giovane ivoriano ospite proprio del Cara.

Ma di cosa parliamo quando si discute della struttura di accoglienza che ha sede nei pressi di Mineo? Più di 3mila persone (in passato si è arrivati alla cifra monstre di 4mila ospiti, per una struttura che all’inizio prevedeva una capienza di 2mila persone) affollano il Centro per richiedenti asilo più grande d’Europa, una “città” di 400 villette al centro della Piana di Catania sorta come alloggio ai militari Usa della vicina base di Sigonella e – dopo la rescissione del contratto – divenuta nel 2011, all’indomani del caos delle “primavere arabe”, centro per la verifica dello status di rifugiato politico.

Il punto è che con la nuova ondata di migranti causata dalla guerra in Siria e dall’avanzata dell’Isis la presunta situazione “ordinaria” dei Cara è esplosa sotto diversi punti di vista. Uno dei nodi irrisolti del Cara, ad esempio, tecnicamente si chiama omissione di atti di legge. La normativa – decreto legislativo del gennaio 2008 n. 25 il quale attua la direttiva comunitaria 85 – parla chiaro: la richiesta di asilo deve essere vagliata entro trenta giorni dall’arrivo dell’immigrato più tre giorni per decidere se l’ospite è effettivamente un profugo o no. E invece? Come abbiamo verificato di persona, trascorrono in media 330 giorni in più, e si arriva a veri e propri “inquilini”, come quell’ospite che ha confessato a Repubblica di “vivere” al Cara da due anni ormai.

I costi? Lievitano. Un immigrato “costa” quasi 35 euro al giorno allo Stato ed è con questi ritardi che si muove tutto l’indotto del cosiddetto “sistema Mineo”: quello emerso anche dalle ultime dichiarazioni di Luca Odevaine. Ossia? Assunzioni e consulenze (la cosiddetta “Parentopoli” sulla quale si sta indagando), la stessa programmazione di corsi e attività che contemplano tempi ben più lunghi di quelli una permanenza al Cara che non dovrebbe superare le quattro settimane: di fatto un business sul quale la magistratura ha aperto inchieste ma le cui contraddizioni sono evidenti già a occhio nudo.

Perché nei Cara si infrange la normativa giorno per giorno? Chiedetelo allo Stato. Lo ha fatto intendere il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera che indaga sull’omicidio dei due coniugi avvenuto pochi giorni fa: è la stessa legge che permette lungaggini in nome di un farraginoso post-sentenza. Al di là della mole di richieste – non a caso al Cara di Mineo non accettano più nessun immigrato -, è la possibilità di impugnare l’eventuale responso negativo che amplifica e dilata i tempi. Dall’altra parte il migrante questo lo sa bene. Come ci hanno spiegato i dirigenti del Cara «arriva, grazia anche al lavoro delle Organizzazioni non governative, ben “informato” su quali siano i suoi diritti. È la possibilità di fare ricorso che permette di allungare a dismisura i tempi» e di accedere così, molte volte, altra altre forme di accoglienza di cui abbonda il sistema italiano.

E che dire del fatto, poi, che al Cara di profughi propriamente detti ce ne sono ben pochi? Basta vedere la tabella delle presenze al Cara per accorgersi di come i “profughi” doc siano solo una piccola percentuale rispetto a chi ottiene, grazie alle maglie larghe della giurisprudenza italiana, diverse forme di protezione: a Mineo, solo per fare un esempio, non vi è traccia di siriani e di eritrei, ossia i due popoli che in questo momento stanno fuggendo dalla guerra nei rispettivi Paesi.

È all’interno del codice, insomma, che nasce il cortocircuito. Si sono chieste spiegazioni ma dagli uffici della Prefettura rimandano alle direttive. Ciò che trapela più facilmente tra le forze di polizia e tra i dirigenti di pubblica sicurezza invece sono sentimenti di frustrazione. Ad esempio fa discutere il numero e gli organici delle Commissioni ministeriali (sono solo 20 in tutta Italia) che devono vagliare le domande. Così come il fatto che dal ministero non siano arrivati i rinforzi più volte richieste dalle procure per tutelare l’ordine pubblico, dato che diverse unità vengono impiegate dentro il Cara. È su questo sistema di lungaggini e bizantinismi che si gonfia di giorno in giorno la “sprecopoli” dell’accoglienza. A un costo, per i contribuenti, di 40-50 milioni di euro all’anno. Solo a Mineo.

@rapisardant



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