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Vi racconto il tafazzismo del centrodestra su Renzi e le tasse

Il braccio di ferro nel quale Matteo Renzi è impegnato con i tecnici, e i politici, di Bruxelles e Berlino per realizzare già con la imminente legge finanziaria la detassazione delle prime case degli italiani è devastante per il centrodestra, o per quel che ne resta e aspira, a parole, a riorganizzarsi.

Su quest’area elettorale presidiata per tanti anni da Silvio Berlusconi, che festeggia adesso il suo 79.mo compleanno contando e deridendo i “mestieranti” che lo abbandonano, il presidente del Consiglio sta passando ormai con un trattore cingolato.

Per Renzi contano non solo e non tanto i parlamentari del centrodestra che stanno facendo la fila per entrare nella sua maggioranza di governo, quanto i voti degli ormai ex elettori berlusconiani attratti, e magari sottratti all’astensionismo, dalle sue iniziative.

Più dal centrodestra si levano dubbi sulla reale possibilità o capacità di Renzi di affrancare dal fisco le prime case, come Berlusconi aveva inutilmente cercato di imporre prima a Mario Monti e poi a Enrico Letta quando ne sosteneva i governi, più Renzi alza la voce contro quanti, alla sua sinistra, fuori e dentro il Pd, cercano goffamente di appigliarsi alle obiezioni dei burocrati dell’Unione Europea per fermarlo.

E così, nell’azione di contrasto al presidente del Consiglio, sia pure all’insegna dello scetticism, quel che resta della destra si trova a marciare insieme a quel che resta della sinistra. Un capolavoro di autolesionismo per entrambi, ma con effetti più devastanti a destra che a sinistra perché, con il vento che spira un po’ ovunque, i pericoli  elettorali per Renzi potrebbero venire più da destra, se essa fosse veramente capace di riorganizzarsi, che da sinistra. O dai grillini, che pure sembrano in ascesa e, come al solito, cantano vittoria troppo presto immaginando un’Italia a cinque stelle.

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Anziché mettersi di traverso con la derisione e l’incredulità, o limitarsi a rinfacciare a Renzi il passato, anche recente, in cui anche lui partecipava alle campagne dei tecnici italiani ed europei per la tassazione delle prime case, nonostante la paralisi dell’edilizia e l’impoverimento del ceto medio, l’area politica che Berlusconi vorrebbe ancora presidiare dovrebbe sostenere e incoraggiare il nuovo corso del presidente del Consiglio. E non lasciarlo solo a fronteggiare la sinistra interna, anziché farle praticamente e scioccamente da spalla, senza confutarne gli argomenti. Una sinistra che molte, troppe volte dalle parti di Berlusconi, specie quando a suonare la musica è Renato Brunetta, si dà l’impressione di volere aiutare a rimanere nel Pd temendo che senza di essa aumenti la concorrenza di Renzi sul versante moderato.

In questo modo nessuno da destra, che purtroppo contiene anche una componente pauperistica come quella di Giorgia Meloni, che sul terreno, per esempio, delle pensioni sembra più vicina a Vendola e a Landini che a Berlusconi; nessuno da destra, dicevo, contrasta le sciocchezze della sinistra sui “regali” che la detassazione delle prime case sarebbe destinata a fare ai “ricchi” e “ricconi”, a danno dei “poveri” e “poverissimi”. Per cui la detassazione dovrebbe quanto meno essere esclusa per chi percepisce redditi d’oro, intendendendosi per oro, come d’abitudine da quelle parti, anche l’argento e lo zinco, magari colorati.

Stupiva che la pur brava e impertinente Lilli Gruber nel suo salotto televisivo non interrompesse ieri Stefano Rodotà, che reclamava il diritto di pagare volentieri e allegramente le tasse sulla sua prima casa, chiedendogli innanzitutto se ne avesse una, e poi quanto guadagnasse cumulando la pensione di professore universitario, il vitalizio di parlamentare e i redditi da diritti d’autore, conferenze ed altro. E confrontare tutto questo con la media di un ceto medio – scusate il bisticcio di parole – al quale si vorrebbe applicare non una volta per tutte, con l’Irpef, ma ogni volta che si ha l’occasione di un prelievo, il principio della progressività delle imposte.

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In tema di casa, il problema del sindaco di Roma Ignazio Marino non è di detassare quella che ha, se ce l’ha, ma di aiutarlo a trovarne una nella quale si trovi finalmente a suo agio, tanto da farlo rinunciare ai viaggi che gli stanno procurando più guai che piaceri. Ultima, l’infelice trasferta a Filadelfia, incorsa nella censura persino del Papa.

A Marino servirebbe forse una bella casa lontana da Roma per permettergli di candidarsi più felicemente la prossima volta a sindaco di quella località.


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