Valgono una montagna di soldi, circolano sotto forma di bit e nessuno può esimersi dal produrli. Sono i Big Data, grandi quantità di dati eterogenei (documenti testuali, dati finanziari, foto, video, chat, email, dati medici ecc), su cui i grandi del Web costruiscono il loro impero.
In attesa del dialogo con Christian Reimsbach-Kounatze, economista ed analista politico dell’Ocse e curatore dei Report “Data driven innovation”, organizzato da Formiche oggi 8 ottobre alle ore 18.30, nella sede della Camera di Commercio di Roma, ecco quanti sono, come si generano, quanto valgono e i rischi del loro utilizzo per la privacy dei cittadini.
QUANTI SONO
Secondo i numeri riportati da Biagio Simonetta sul Sole 24 Ore, si stima che ogni giorno viaggino in Rete 1.800 peta-byte di dati.
Per rendere l’idea Christian Reimsbach-Kounatze ha raccontato su Formiche che “ne vengono prodotti circa 2,5 exabyte, che corrispondono a oltre 167mila volte le informazioni contenute nei libri della biblioteca del Congresso Usa”.
COME SI PRODUCONO
Ogni cosa che facciamo produce dati e non sempre ciò avviene dietro un pc o uno smartphone: “Generiamo dati aprendo un frigo smart, cambiando canale su un tv connesso, tenendo al polso un braccialetto elettronico che registra la nostra frequenza cardiaca, andando in palestra con l’automobile”, ha scritto Simonetta sul Sole. A volte decidiamo di conservarli volontariamente in Rete attraverso le piattaforme cloud.
L’ELABORAZIONE
La loro analisi permette l’accesso a nuove conoscenze e apporta miglioramenti nella produzione o nello sviluppo di nuovi prodotti, processi, metodi organizzativi e mercati. “I big data, senza un obiettivo applicativo, sono quasi come un grande ammasso di spazzatura, dati senza significato né valore”, ha commentato su Formiche Maria Teresa Pazienza, docente di intelligenza artificiale presso l’Università Tor Vergata di Roma, spiegando che per diventare informazione utile “hanno bisogno di essere elaborati attraverso tecnologie e metodologie avanzate a seconda della specifica applicazione finale”.
QUANTO VALGONO
Ma quanti soldi saranno capaci di generare queste informazioni e chi ne trarrà beneficio? Secondo il giornalista del Sole 24 Ore Luca Tremolada “dentro i server di Facebook, Google, Apple, Microsoft circolano a velocità altissima dati che valgono una montagna di soldi”. Le stime pubblicate sul Sole giungono dal Boston Consulting Group che parla solo in Europa di un trilione di euro entro il 2020, circa l’8% del Prodotto interno lordo dell’Ue.
Il loro utilizzo spazia dal mondo degli affari, alle smart cities, alla pubblica amministrazione, alla salute e l’ambiente. “Per le imprese e i governi il tesoretto ammonterebbe tra cinque anni a 330 miliardi. Per i singoli individui il rapporto indica un valore addirittura doppio, legato ai servizi che i big della Rete offrono gratuitamente in cambio dell’”sfruttamento” del nostro comportamento digitale”.
IL MERCATO ITALIANO
Secondo un report del Politecnico di Milano dal titolo “Big Data Analytics & Business Intelligence: Il mercato e gli ambiti di utilizzo”, l’interesse delle organizzazioni italiane verso i Big Data Analytics è in forte crescita: “A fronte di un budget ICT stimato sostanzialmente stabile nel 2014, nel campione analizzato la spesa dedicata a soluzioni Big Data Analytics è cresciuta infatti del 25%”.
DOVE VANNO
A volte prendono strane direzioni, come nel caso reso noto ieri in seguito ad una sentenza della Corte Ue che ha dichiarato invalida la decisione della Commissione Ue secondo cui gli Stati Uniti garantiscono un adeguato livello di protezione dei dati personali.
Fino ad oggi, infatti, tutti i grandi giganti del web (Facebook, Apple, Google) hanno trasferito nelle loro sedi della Silicon Valley i dati personali dei loro utenti europei limitandosi ad informarli dell’esigenza di tale trasferimento.
L’avvocato Guido Scorza ha così sintetizzato uno dei passaggi fondamentali della sentenza: “La Commissione europea commise un errore quando nel 2000 dichiarò gli Stati Uniti un approdo sicuro per i dati personali provenienti dal Vecchio Continente. Il motivo? Guardò solo agli impegni assunti dalle grandi corporation statunitensi e non si curò della circostanza che le leggi americane – come ha poi dimostrato in modo inequivocabile il Datagate – impongono a tali corporation di aprire, in maniera indiscriminata e generalizzata, i propri database alle agenzie di intelligence in nome della sicurezza nazionale”, ha spiegato Scorza sul Fatto Quotidiano.
LE RICADUTE
Che effetti avrà la decisione dei giudici? “Pensando di far male a Google o a Facebook, in realtà danneggia il nostro sviluppo”, ha scritto Massimo Russo su La Stampa. Per il vice direttore del quotidiano torinese la sentenza rappresenterebbe un errore. Ecco gli effetti immediati: “In primo luogo iscrive l’Europa alla lista dei Paesi che lavorano per la balcanizzazione di Internet, per un suo spezzettamento in sottoreti nazionali. Il secondo effetto è di danneggiare l’economia dell’Unione. Finora la presunzione che gli Stati Uniti fossero un approdo sicuro, un safe harbor in grado di tutelare i dati europei, aveva permesso non solo ai giganti Usa ma anche alle nostre aziende di semplificare gli adempimenti, evitando loro di dover sottostare a 28 regolamentazioni diverse nel custodire informazioni oltreatlantico”, ha spiegato Russo.
La decisione della Corte di Giustizia potrebbe poi cambiare radicalmente le dinamiche del trasferimento dei dati personali tra Usa e Ue. “Come ha calcolato l’Ue il 54% dei servizi online proviene dagli Stati Uniti. Il 4% dall’Ue e il resto dai singoli stati nazionali. In pratica metà dei dati e del business di chi usa Internet va a finire negli Stati Uniti. La decisione della Corte Ue rischia di far saltare tutto”, ha scritto Tremolada del Sole.
IL COMMENTO DEL GARANTE EUROPEO DELLA PRIVACY
Siamo alla privacy digitale 3.0, dunque, nella quale Giovanni Buttarelli, Garante europeo della protezione dei dati, ha invitato ad uso responsabile dei dati:
“Occorre dare risposta ad alcuni interrogativi nascenti dall’uso ciclopico delle informazioni per sofisticatissime elaborazioni di massa, meglio noto come big data, o relative al profilo etico dello sviluppo di determinate tecnologie, visto che non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è socialmente accettabile: un impegno che può contribuire a un migliore equilibrio di molteplici interessi pubblici e privati”.
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? “Saremo sempre più identificabili nei nostri minimi comportamenti; scomparirà la nozione di dato anonimo. Restiamo tuttavia pronti a contribuire allo sviluppo di un uso responsabile del big data e a coglierne le opportunità in chiave di prosperità. Serve chiarezza e trasparenza, per lasciare ai cittadini il diritto di controllare l’uso dei dati che li riguardano”, ha commentato Buttarelli su Formiche.