L’idea di consentire il passaggio a part time per gli ultrasessantatreenni non solo non è nuova, ma, in pratica, è ripetitiva di una norma già operante, prevista dal decreto sugli ammortizzatori sociali in attuazione del Jobs act (articolo 41 del dlgs n.148/2015).
Nel contesto della stipula – a livello aziendale da parte delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative – di un ‘’contratto di solidarietà espansiva’’ sarà possibile introdurre una forma di pensionamento anticipato per quei lavoratori che abbiano un’età inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia di non più di 24 mesi e abbiano maturato i requisiti minimi di contribuzione per la pensione di vecchiaia. Si tratta, dunque, di un mix tra lavoro (a part time) e pensione, rivolto a nuove assunzioni e in una prospettiva di invecchiamento attivo.
Limitatamente al periodo di anticipazione, il trattamento di pensione è cumulabile con la retribuzione nel limite massimo della somma corrispondente al trattamento retributivo perso al momento della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Se è più conveniente rispetto al calcolo della pensione, è ‘’neutralizzato’’ il numero delle settimane a part time.
Che senso ha, allora, tornare su di un problema già affrontato?