Skip to main content

Contratto metalmeccanici, che cosa (non) va tra i sindacati

Venerdì prossimo presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, sarà presentato il libro di Antonio Maglie, edito dalla Fondazione Buozzi, “1969-1972 La metamorfosi della Uilm”. Ecco il pensiero del leader della Uilm

Il riformismo  che emerge dalla lettura della vicenda storica della Uilm si basa sull’assunzione di responsabilità: le scelte si fanno non perché portano voti, per quanto il consenso in una società democratica sia cosa serissima, ma perché potranno produrre un beneficio (o evitare conseguenze negative) alla collettività che rappresentiamo. Ed è quello che abbiamo fatto, ad esempio, nelle vicenda della Fiat, della Electrolux, della Ast di Terni, della Whirlpool e in tante altre. Lo abbiamo fatto essendo pienamente convinti che in quella maniera evitavamo di perdere posti di lavoro.

I FINI SINDACALI

E’ bene ricordare che l’azione sindacale è figlia, come ogni cosa, dello spirito dei tempi. Questo è un tempo di crisi, un tempo che ci obbliga a riflettere su quanta parte della contrattazione nazionale deve essere salvata in  un sistema produttivo sempre più polverizzato; una fase che ci obbliga, insomma, a riflettere sui vari livelli della contrattazione e sui contenuti da assegnare a ognuno di essi. Per noi metalmeccanici, il contratto è da sempre  un “obiettivo sensibile”.

ECONOMIA, SALUTE E SICUREZZA

Con franchezza bisogna ammettere che il tema della salute, nel tempo della crisi, è passato in secondo piano. Ciò è successo, perché le urgenze erano inevitabilmente altre, a cominciare dal salvataggio dei posti di lavoro in una fase in cui spesso sono stati cancellati con un tratto di penna. In un momento così complesso e drammatico si finiscono per smarrire valori, conquiste, certezze. E’ ora di riprendere e rafforzare il tema della sicurezza, perché non può esistere un’azione sindacale che non faccia della salute un fine prioritario. Negli ultimi vent’anni è avvenuto veramente di tutto: privatizzazioni, l’irruzione di gruppi stranieri, la distruzione di pezzi dell’apparato industriale, la crisi più lunga se non della storia, di quelle a nostra memoria. Una sovrapposizione così esasperata di problemi:alla fine qualcosa abbiamo finito per perderla di vista. C’è una emergenza più ampia che ci obbliga a rilanciare l’attenzione su temi relativi alla sicurezza, di tutti, ovviamente. Una società non può ritenersi avanzata se non offre risposte e soluzioni su temi come quello della difesa dell’ambiente e della sicurezza del lavoratore.

IL RUOLO DELLE FABBRICHE

Oggi non è più il tempo di ieri, cioè quello in cui vivevamo un Paese al centro di un possente processo di industrializzazione. Un processo così vasto che poneva questioni gigantesche come quelle legate all’emigrazione, allo spostamento,con enormi costi sociali di ampie masse di lavoratori dal Sud al Nord; la necessità di costruire condizioni capaci di garantire la convivenza sociale e una più ampia diffusione del benessere. Col tempo l’industria ha perduto peso nel sistema; le dimensioni delle fabbriche si sono ridotte. Il sindacato dei metalmeccanici è stato in grado di dare un’impronta allo sviluppo, di tradurre la sua azione in salario e diritti e così facendo è riuscito a modellare il profilo del Paese, modernizzandolo e democratizzandolo. Pian piano, però, dalle grandi dimensioni, siamo passati a dimensioni medie sino a giungere a quella polverizzazione vera e propria che caratterizza il sistema economico-produttivo del nostro paese. Alle assemblee della Fiat negli anni Settanta partecipavano trentamila lavoratori. Oggi l’Ilva di Taranto, che è l’insediamento industriale più popoloso, mette insieme dodicimila lavoratori in tutto; Melfi, destinata a diventare il più grande complesso Fiat in Italia, impiegherà settemila persone. I metalmeccanici hanno combattuto grandi battaglie che hanno oggettivamente inciso sul volto del Paese. Quelle attuali sono battaglie dettate dalla crisi, positive ma, inevitabilmente, meno vaste. So bene che, per il ruolo finora svolto, non entrerò nell’elenco di coloro che hanno realizzato conquiste in grado di lasciare il segno sul modo d’essere dell’Italia. Certo, per quel che ci riguarda abbiamo salvaguardato il contratto, garantito la sopravvivenza di aziende e, di conseguenza, di posti di lavoro. Ma sono perfettamente consapevole che si tratta di battaglie di contenimento. Mi rendo conto che nel momento in cui si smarriscono spazi e tempi di azione, il recupero diventa molto complicato, soprattutto in una società come quella attuale, perennemente connessa, veloce nella trasmissione di informazione e di dati, ma anche nell’evoluzione delle tecnologie. Uno stato di cose che ci obbliga  a inseguire il terreno impervio dell’aggiornamento delle competenze attraverso la formazione continua.

L’IMPORTANZA DELLA CATEGORIA

Per rilanciare il nostro ruolo di rappresentanza dobbiamo tornare alle origini, alle categorie. Furono le categorie ad alimentare la rinascita sindacale degli anni Sessanta. E’ lì che si intercettano i bisogni del popolo che noi vogliamo tutelare, è lì che si parlano linguaggi comuni e comprensibili. Bisogna riformare le strutture categoriali rilanciando quelle industriali perché è dalla manifattura che partirà, e non può essere diversamente, la ripresa. Bisogna ripensare tutta l’organizzazione, dalla struttura nazionale a quella aziendale costruendo i modi per esaltare il rapporto continuo con i lavoratori, perché è quel rapporto che legittima la nostra azione e che rafforzandola genera contenuti  alla nostra rappresentanza e al potere che ne deriva. Questo recupero dal basso restituirà energie anche all’organo confederale, reso, semmai, più certo da un quadro di riferimento legislativo.

FARE IL CONTRATTO

Ci preoccupa la mancanza di convergenze a livello confederale verso un’ipotesi plausibile di riforma contrattuale. Non ci piace assolutamente l’ipotesi di salario minimo per legge che va avanzando come proposta alternativa e di governo. Ci interessa soprattutto che intanto siano rinnovati i contratti di lavoro in scadenza e per cui è stata presentata alla controparte una piattaforma rivendicativa. E tra questi c’è il Ccnl dei metalmeccanici che a nostro giudizio deve essere rinnovato entro l’anno. Riuscirci significherebbe dare una risposta retributiva e normativa a più di un milione e 600mila lavoratori metalmeccanici, ma soprattutto rappresenterebbe il nostro contribuito per uscire dalla crisi ed agganciare la ripresa. Nello stesso tempo è bene che in ambito confederale le parti ritrovino il filo da tessere, perché la riforma contrattuale va decisa tra le parti sociali e non in altre sedi. Il sindacato deve garantire i diritti e tutelare i lavoratori senza dimenticare che la funzione primaria della fabbrica è la produzione. La vera sfida riformista riguarda il modo in cui garantiamo occupazione stabile e protetta, un salario decente, una condizione di vita, dentro e fuori il luogo di lavoro, dignitosa.

E’ anche per questo che val la pena di augurare una lunga vita al sindacato.

Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm

20151006_locandinaBari



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter