L’Italia parteciperà ai bombardamenti contro l’Isis? Fino ad ora, l’Italia ha preso parte della Coalizione internazionale anti Califfato in Iraq, ma nessun militare tricolore ha mai usato armi, né i nostri Tornado sono andati oltre la “illuminazione” dei bersagli dei drappi neri, poi abbattuti dai caccia alleati. Ieri, dalle pagine del Corriere della Sera, Franco Venturini delineava uno scenario in cui Palazzo Chigi sarebbe in procinto di dare il via libera a intensificare l’impegno italiano nella regione. Il governo, con una nota della Difesa, ha detto “che sono solo ipotesi da valutare assieme agli alleati e non decisioni prese che, in ogni caso, dovranno passare dal Parlamento”.
I TIMORI DI CARACCIOLO
Oggi Repubblica, con l’analista Lucio Caracciolo, si mostra molto perplessa dello scenario. “Sul fronte della nostra sicurezza – rimarca l’editorialista in prima pagina – innalzeremo di qualche grado il rischio di attentati terroristici per opera di cellule jihadiste o di “lupi solitari” in vena di rappresaglie contro i “crociati” che osano mirare al sedicente califfo”. E allora, si chiede, “perché si lascia filtrare alla stampa, salvo poi ridimensionarlo, questo scenario bellico?” Molto, secondo l’analista che dirige la rivista Limes, “induce a pensare che si tratti dell’ennesimo episodio di una sindrome tipicamente nostrana, per cui in caso di coinvolgimento dell’alleato americano in un conflitto cerchiamo di guadagnarci la sua benevolenza offrendogli un misurato contributo. Insieme, intendiamo ricordare ai partner europei più spicciativi nell’imbracciare le armi — francesi e inglesi — che anche noi siamo in grado di farlo, malgrado la modestia (e, nel caso dei Tornado, l’imprecisione) dei mezzi a disposizione”. Se poi “mettendo sul tavolo il nostro gettoncino — qualche Tornado sui cieli iracheni — contribuiamo a guadagnarci il riconoscimento della leadership italiana nella kermesse libica, tanto meglio”.”Nella migliore delle ipotesi – conclude Caracciolo – i nostri eventuali raid in ciò che resta dell’Iraq lasceranno il tempo che avranno trovato; nella peggiore, susciteranno l’eccitata reazione di qualche testa calda jihadista, mentre il campo alleato si dividerà fra cortese indifferenza e sarcasmo”.
A COSA PENSA IL GOVERNO
Per il cronista Alberto D’Argenio, sempre su Repubblica, la scelta avrebbe alcuni “contro” che in queste ore Palazzo Chigi sta valutando. “Passare ad un ruolo attivo, si ragiona nel governo, esporrebbe il Paese già più volte minacciato dai terroristi di Al Baghdadi a ulteriori rischi attentati, a maggior ragione con il Giubileo alle porte. Oltre al rischio terrorismo, nell’esecutivo ci sono perplessità di carattere politico sulla compattezza della maggioranza di fronte a una simile scelta, con la minoranza Pd che potrebbe sfilarsi mettendo in grave imbarazzo Renzi, tanto più a pochi giorni dalla strage shock dell’ospedale di Medici senza frontiere in Afghanistan”. Anche per questo, prosegue il quotidiano diretto da Ezio Mauro, “il governo, confermando che il tema è sul tavolo, ieri non si è sbilanciato, coprendosi di fronte al fatto che la richiesta formale da parte della Coalizione e di Bagdad non è ancora arrivata”.
IMPOSSIBILE VOLTARSI
Di diversa opinione il Corriere della Sera. Sempre sul giornale diretto da Luciano Fontana, oggi Venturini ritorna sul tema. “L’Italia – scrive in un commento – si è tenuta fuori dal ginepraio siriano”, ma non dovrebbe farlo in Iraq, dove “esiste una maggior chiarezza strategica su chi è amico e chi è nemico. Nemico è il Califfato, nemiche sono le forze dell’Isis che minacciano Bagdad e controllano ingenti risorse petrolifere. Amica è la coalizione anti Isis guidata dagli americani (un comando che coordini è necessario)”. Cosa dovrebbe fare, dunque Roma? Per il Corriere, “la scelta…, che sarà ora perfezionata, di utilizzare i nostri Tornado anche per bombardare l’Isis non è soltanto il chiarimento di una linea che poteva sembrare ambigua, è anche una elementare applicazione dei nostri interessi nazionali tanto evocati e molto più raramente rispettati”. Non solo. Per Venturini, c’è in questa mossa un’utilità che va al di là degli schemi di sicurezza. “La presenza militare all’estero è stata per anni la nostra politica estera dotata di maggior visibilità, senza nulla togliere alle più discrete arti della diplomazia. Dovremmo guardare dall’altra parte accontentandoci di far parte della coalizione non combattente, lasciare che l’Isis si allarghi nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, lasciare che diventi più forte davanti a casa nostra?” Evidentemente, aggiunge rispondendo indirettamente a Caracciolo, “non saranno i nostri Tornado a rovesciare questa micidiale linea di tendenza”. Ma “dare un contributo è importante nel mondo delle alleanze democratiche. Anche perché in futuro potremmo dover chiedere noi il contributo altrui, per esempio in Libia”.
UN OCCHIO ALL’ONU (E AI MILITARI)
In questo dossier, pure complesso, (“l’uscita della notizia ha complicato le cose”), sul quotidiano di Via Solferino Marco Galluzzo rileva alcuni punti positivi di un intervento, sia per le Forze Armate italiane, sia per la diplomazia italiana nel suo complesso.
“I nostri militari impiegati in Iraq – scrive – hanno presentato in questo modo la richiesta di un salto di qualità: attualmente, è la rivendicazione e insieme la recriminazione, il sistema di puntamento e ricognizione degli obiettivi da parte dei nostri Tornado espone i nostri piloti a rischi molto grossi senza la possibilità di avere un controllo dell’azione (poi fanno fuoco gli aerei olandesi); secondo punto: non sparando non facciamo parte del processo di decisione, veniamo tagliati fuori da una serie di informazioni cruciali, che invece condividono solo coloro che effettuano bombardamenti; terzo punto, aspetto finanziario da non sottovalutare: un nostro upgrading in Iraq richiederebbe finanziamenti adeguati e sicuramente non ridotti, cosa che andrebbe fissata nell’imminente legge di Stabilità”. Ma c’è dell’altro. Per Galluzzo, Renzi “si muove in modo cauto, ma sta indubbiamente cercando un rafforzamento del nostro peso diplomatico. Alle Nazioni Unite, la settimana scorsa, ha promesso circa 400 caschi blu italiani in più rispetto agli attuali, pur senza dare troppa pubblicità alla decisione.La corsa verso un seggio non permanente all’Onu, dopo anni di assenza, giustifica lo sforzo”, che verrebbe apprezzato da Washington e dagli altri componenti del Consiglio di sicurezza.
L’IRRITAZIONE DI WASHINGTON
Dagli Usa, semmai, sottolinea oggi Antonella Rampino sulla Stampa, c’è stata qualche irritazione per la fuga di notizie, avvenuta mentre il numero uno del Pentagono Ashton Carter era “appena giunto a Roma sulla via di Bruxelles per la ministeriale Nato”. Il segretario alla Difesa di Barack Obama, oggi nella Capitale per incontrare il ministro Roberta Pinotti e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha appreso “alle sette del mattino” che la possibilità “di una prossima partecipazione attiva dell’Italia ai bombardamenti contro l’Isis in Iraq era ormai di pubblico dominio, in prima pagina sul Corriere della Sera come cosa fatta e da farsi senza alcun passaggio parlamentare”. Non l’ha presa bene, perché “ha capito subito che l’operazione, in questo modo, rischia pesanti ritardi”. Difficile, però, prosegue la cronista, capire chi abbia fatto uscire la notizia. “La Farnesina non è investita più di tanto dalla questione, la Difesa non aveva alcun interesse, dato che anzi i militari italiani terrebbero molto all’upgrading di status, di mezzi, e di livello di accesso alle informazioni della missione, previste dalle regole di ingaggio quando si passa dal livello di supporto e ricognizione a quello combat”.