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I nostri progetti per l’Italia. Parla Cuzzilla (Federmanager)

Federmanager compie il suo 70° anno di attività e decide di festeggiare il traguardo con un evento che si terrà a Roma il 9 ottobre, rivolto agli stakeholder e agli interlocutori del mondo delle istituzioni e dell’impresa. Obiettivo? Rilanciare i temi prioritari per l’agenda del Paese: queste le parole di Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, intervistato da Formiche.net.

Presidente, cosa significa per voi questo traguardo?

La nostra azione di rappresentanza, dal 1945, promuove soluzioni nell’interesse della categoria manageriale e del Sistema Paese. Questo è già motivo sufficiente per celebrare con soddisfazione 70 anni di attività di Federmanager e per motivarci a proseguire nel segno del cambiamento. È un anniversario importante che vogliamo dedicare agli oltre 180mila manager e quadri e alte professionalità che continuano a dare un contributo effettivo al Sistema Paese e che siamo orgogliosi di rappresentare, ma anche a tutti coloro che  si sono messi al servizio della vita associativa, a chi è stato colpito dalla crisi economica, ai seniores, ai giovani che aspirano a diventare manager.

Come risponde a chi dice che Federmanager rappresenta principalmente un’élite?

Sappiamo di dover impiegare molte energie per superare le false convinzioni  di una opinione pubblica che ci considera “classe privilegiata”. Non siamo una élite ma una categoria che esprime valori che, quotidianamente, cerchiamo di trasmettere anche all’esterno con l’eticità della nostra condotta e il contributo in termini di concretezza, innovazione e sapere manageriale.

Ma Renzi non apprezza troppo la concertazione… In che modo si può creare questa concertazione positiva?

Il sistema delle relazioni industriali è profondamente mutato. L’azione di rappresentanza che Federmanager mette in campo deve dimostrare di aver governato questa evoluzione e di aver compiuto un rafforzamento valoriale che è ancor più necessario quando si attraversa un periodo storico di incertezza e di crisi. Federmanager vuole dimostrare che si può fare buona rappresentanza offrendo idee e proposte concrete per lo sviluppo e la competitività, le Commissioni che abbiamo costituito su due tematiche importanti quali la sanità e la politica industriale, rispondono proprio a questo obiettivo.

Ma non teme che la crisi dei “corpi intermedi” sia cronica?

È importante distinguere. Storicamente, laddove ci sono organizzazioni indipendenti e associazioni datoriali collaborative e forti l’economia migliora e si garantisce la democrazia: un messaggio attuale che, non a caso, è al centro del grande tema del dialogo sociale europeo. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dato in più occasioni una lettura importante del nostro ruolo, che condivido pienamente: l’esistenza dei corpi intermedi realizza una mediazione tra singolo e organizzazione sociale che è l’unico antidoto contro l’isolazionismo e l’individualismo. O, per citare fedelmente il Presidente, contro “i pericoli di solitudine”.

Guardando i dati, il fenomeno della fuga di cervelli coinvolge anche la classe manageriale, come mai?

Il paradosso di una crisi che taglia le figure apicali, esternalizza asset strategici e rinuncia a sollecitare l’entrata di una nuova generazione di giovani manager è il paradigma di un’economia che tenta la crescita ragionando in termini di risparmio sul costo del lavoro qualificato. È un fatto che negli ultimi anni abbiamo sofferto la perdita di un numero cospicuo di manager validi e preparati, mentre chi stava perfezionando un percorso di studi universitario di alto livello ha scelto l’espatrio. L’emorragia non è solo quantitativa ma soprattutto valoriale.

Quali sono le vostre proposte per invertire la rotta? E quali sono le necessità delle imprese italiane secondo voi?

E’ necessario favorire la managerializzazione delle imprese. L’investimento in capitale umano è un fattore di accelerazione per le imprese, in particolar modo per quelle di piccole dimensioni di cui è ricco il nostro Paese. Come è emerso da una nostra recente ricerca, l’introduzione di manager esterni al tradizionale capitalismo familiare, in numerosi casi di acquisizioni estere di aziende italiane, è capace di far registrare netti miglioramenti di tutti gli indici di performance aziendale, oltre a una maggiore propensione alla crescita dimensionale e occupazionale di tali imprese.

Strategia industriale applicata a piccoli contesti o serve anche valorizzare le grandi imprese strategiche?

Quando si parla di riorientare in modo strategico le politiche industriali, bisognerebbe chiedersi innanzitutto chi può governare questo cambiamento e, subito dopo, come fare per alimentare un circolo virtuoso di produzione che generi effetti anche sull’economia reale.

Il governo come si sta muovendo?

Mi auguro che si avviino presto i lavori dei cosiddetti “Stati generali dell’Industria” annunciati dal governo ai quali intendiamo intervenire come rappresentanti di una categoria che lavora duramente, spesso in rispettoso silenzio, offrendo un apporto di soluzioni, innovazione, professionalità e modernizzazione di cui c’è estremo bisogno.

Quali sono i progetti in corso di Federmanager?

Stiamo partecipando alle consultazioni per il progetto di Industry 4.0,  stiamo avviando il programma “Be Manager”, nato in casa Federmanager per certificare le competenze manageriali in modo rigoroso e nel rispetto degli standard internazionali, mettiamo in campo numerose iniziative, anche sul tema dell’innovazione digitale e dell’Ict. Come detto prima vogliamo offrire, attraverso le Commissioni sulla sanità e sulle politiche industriali,  proposte innovative per la competitività, infine, nella recente audizione alla Commissione di vigilanza sull’anagrafe tributaria, Federmanager ha ribadito l’intento di dare un contributo di competenze e conoscenze per la definizione di un disegno organizzativo che consenta alla P.A. di fare il salto di qualità che i cittadini attendono. Non solo rappresentanza quindi, ma azione propulsiva per lo sviluppo e la modernizzazione del sistema Paese.


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