Il dibattito appassionato e intenso di questi giorni sulle riforme istituzionali sta offuscando l’attenzione del governo e del Parlamento dal cosiddetto Paese reale. Le energie profuse sulla revisione del Senato da tutti gli schieramenti politici – tralasciando qualsiasi tipo di considerazione sui momenti più bassi dei lavori parlamentari – non le abbiamo registrate su altri fronti, magari quando si tratterebbe di trovare e varare misure in campo economico. La crisi non è finita. O, meglio, è probabilmente superata la fase più acuta. Come al termine di tutte le tempeste, però, si presenta davanti la fase più complessa: la ricostruzione.
Perché se diamo per scontato il fatto che la ripresa sia cominciata, non possiamo essere così certi né che duri a lungo né tanto meno la crescita economica viaggi a una velocità più adeguata. Martedì scorso il Fondo monetario internazionale ha ipotizzato che il pil italiano alla fine del 2015 possa raggiungere l’1% di crescita. Si tratta di un valore certamente più alto rispetto a tutte le previsioni di inizio anno, ma senza dubbio assai contenuto per cantare vittoria o per cullarsi sugli allori (che non abbiamo).
Tutto ciò non vuol dire che l’assetto istituzionale dell’Italia non vada riformato. Anzi: un architettura più snella dell’impianto costituzionale favorisce il processo di formazione delle leggi e quindi anche dei provvedimenti economici. Tuttavia, l’economia non cresce solo col nuovo Senato, perché servirebbero tagli alla pressione fiscale robusti, mentre la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza certifica che nei prossimi anni il peso delle tasse sul pil salirà oltre il 44 per cento. Al presidente del consiglio, Matteo Renzi, chiediamo di tornare per strada, un po’ come quando faceva il sindaco a Firenze e si lamentava di chi, a Roma, era chiuso nei palazzi. A noi pare che Renzi si stia invece chiudendo o blindando nei social network. Ma non bastano solo i post su Facebook e Twitter per capire quello che accade davvero nelle famiglie (che spendono poco, solo il necessario) e nelle imprese (a corto di liquidità).
Da Papa Francesco ascoltiamo quotidianamente appelli a occuparsi dei problemi delle persone e della povertà. Ma chi governa, sia a livello centrale sia a livello locale, manca il contatto con la realtà: non si occupa di periferia e disagio, così le città e il Paese intero peggiorano. Lo vediamo guardando il degrado nelle scuole e nelle strade. Ce ne accorgiamo, come associazione di micro, piccole e medie imprese, quando i nostri associati ci comunicano la fine delle attività. Ci chiediamo: a chi interessa il nuovo Senato se un padre di famiglia non può mettere il piatto in tavola per i figli e un imprenditore è costretto a chiudere licenziando?