Domenica scorsa è iniziato “uno dei più grandi e complessi progetti di smantellamento nucleare della storia” (così l’ha definito il New York Times): è l’applicazione operativa del deal sul nucleare chiuso dall’Iran con i rappresentanti della comunità internazionale (il cosiddetto “5+1”) il 14 luglio a Vienna. Più di 12 tonnellate di combustibile atomico debolmente arricchito dovranno essere spedite fuori del Paese, 12 mila centrifughe saranno bloccate (“messe sotto naftalina”, come dice il Nyt) e si dovrà distruggere il nucleo di un reattore al plutonio. È una parte delicatissima del deal, tanto quanto lo sono stati gli incontri per chiuderlo.
UN SUCCESSO DA VERIFICARE
Il successo o meno dell’accordo è legato a questo passaggio, che in Iran è stato propagandisticamente tenuto celato non solo all’opinione pubblica, ma anche a molti membri del Parlamento. Motivo: far passare l’accordo come un vantaggio per Teheran, che vedrà sollevate le sanzioni internazionali in cambio di un “semplice scambio di combustibile”, definizione con cui il regime teocratico ha inquadrato pubblicamente l’uscita di quelle 12 tonnellate. Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif sostiene che tutto si concluderà entro fine novembre, e lo fa perché vuole le sanzioni tolte il prima possibile, ma sembra una calendarizzazione improbabile (il Sudafrica impiegò nove anni per un’operazione simile).
LA RIPRESA ECONOMICA
Sabato la televisione di Stato iraniana ha riferito che ci sarà un taglio del tasso di interessi da parte della banca centrale per incoraggiare le banche a concedere prestiti: una misura di rilancio per l’economia stagnante dopo due anni di politiche monetarie restrittive, medicina adottata subito dal presidente Hassan Rouhani per curare i tassi di inflazione intorno al 40 per cento (ereditati dal precedente governo Ahmadinejadh). Il 26 febbraio prossimo ci saranno le votazioni parlamentari e, secondo molti analisti, saranno un referendum su Rouhani: molto del risultato sarà ovviamente legato alla percezione che l’elettorato sta avendo dell’accordo sul nucleare e dai suoi primi risultati. Contemporaneamente si eleggerà anche il Consiglio degli Esperti, la corte di massimi esperti religiosi che ha come compito la supervisione sull’operato della Guida suprema, e anche queste elezioni saranno un importante segnale sull’operato del governo Rouhani.
LE NECESSITÀ POLITICHE E LA PROPAGANDA
Quelli comunicati tre giorni fa, sono misure e annunci che servono anche in questo caso a tenere tranquilla l’opinione pubblica e a sventolare davanti ai politici più conservatori la bandiera della crescita economica. Ma forse, secondo alcuni analisti, non basteranno a creare ripresa in un’economia bloccata da anni di sanzioni e si prevedono mesi di “crescita zero” o di recessione. Non bastano nemmeno per tenere ferma l’ala politica più ideologizzata, la linea dura, quelli che si oppongono all’accordo perché “non si fanno accordi col Grande Satana”. È pensando a questi che, la scorsa settimana, Teheran ha spettacolarizzato il lancio-prova di un nuovo missile a medio-raggio, un’arma in grado di portare testate nucleari e di colpire Israele, argomenti cari ai falchi. Il test missilistico è stato definito dall’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite Samantha Power “una violazione alla risoluzione 1929”, quella che vieta all’Iran di studiare, costruire, testare, tecnologie militari del genere. Ciò nonostante, pochi giorni dopo la tv statale ha trasmesso un filmato su una base sotterranea iraniana che nasconde missili di nuova generazione, i quali, parole del filmato, “possono eruttare come un vulcano dalle profondità della terra… se i nemici fanno un errore”. Sono prove di forza necessarie anche alla stabilità interna, ma comunque sono prove di forza che confermano che il Paese non abbandona i propri comportamenti controversi. La scorsa settimana un giornalista del Washington Post imprigionato in Iran da tre anni con l’accusa di essere una spia americana, è stato condannato dopo un processo in cui non si è potuto nemmeno difendere (la pena non è stata ancora dichiarata).
I PREPARATIVI PER SOLLEVARE LE SANZIONI
Domenica (“la giornata dell’adozione”, cioè la scadenza dei 90 giorni post adozione dell’accordo da parte del Consiglio di Sicurezza Onu), contemporaneamente all’inizio del processo di smantellamento in Iran, la Casa Bianca ha inviato un memorandum indirizzato al Dipartimento di Stato, a quello del Tesoro e a quello di Commercio e Energia, in cui invitava i funzionari ad “assumere tutte le misure necessarie per l’attuazione degli impegni americani in rispetto alle sanzioni” contro l’Iran. Il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha già annunciato che l’Ue ha adottato il quadro di leggi che regolerà anche lo scioglimento delle sanzioni imposte da Bruxelles. Tutti attendono il via libera, cioè segnali di Teheran sul rispetto delle misure dell’accordo, per sancire definitivamente la riabilitazione diplomatica iraniana, con l’ok economico.
FRONTI DIVERSI IN SIRIA
Teheran continua sulla propria linea e, ai test missilistici, ai filmati propagandistici e alle condanne politiche di vecchio stampo, abbina i dispacci dal fronte siriano, altro tema caro ai conservatori. Protetti dalla copertura area dei caccia russi (e da quella diplomatica di Mosca) sono arrivati a sostenere l’avanzata delle truppe governative di Bashar al-Assad, almeno duemila pasdaran iraniani, secondo quanto dichiarato da un funzionario della Difesa americano al Guardian. Un “drammatico aumento del coinvolgimento”, l’ha definito Associated Press, perché quelli che prima venivano definiti advisor militari, non sono più semplici consulenti ma sono soldati impegnati in prima linea negli scontri tra Hama ed Aleppo (l’obiettivo è di riprendere il controllo dell’autostrada di collegamento e riconquistare ai ribelli “non Isis” nella provincia di Idlib). E per riconquistare terreno agli oppositori del regime, gli iraniani hanno usato anche la loro influenza religiosa (e settaria): la milizia irachena Kata’ib Hezbollah (del tutto analoga al Partito di Dio libanese, anche questo fortemente impegnato in Siria) ha pubblicato delle immagini in cui mostrava i propri uomini mentre stavano combattendo al fianco della Repubblica islamica sciita e del governo filo sciita di Assad, sul suolo siriano. C’è un’altra attività cara ai conservatori e all’opinione pubblica polarizzata iraniana che ha ripreso forza: tra i dispacci dal fronte sono ricominciate a circolare le foto del generale Qassem Suleimani, personaggio chiave della strategia aggressiva all’estero dell’Iran.
IL FATTORE SULEIMANI
Insieme a Suleimani ci sono sempre molti soldati, che si fanno immortalare alla presenza del loro idolo, oltre che comandante. Cantano “siamo al servizio di Ali” e altri slogan sciiti (gli sciiti sono “la fazione di Ali”, nipote di Maometto trucidato a Kerbala). Quello che non è chiaro è se questo aumento del coinvolgimento possa risultare indolore per l’Iran. Si tratta di un aspetto da verificare, perché per adesso la propaganda del regime iraniano è impegnata a mostrare i muscoli, tra azioni militari e test missilistici, mentre si infittiscono gli incontri con le delegazioni di uomini d’affari occidentali, arrivati a Teheran per tenersi pronti al sollevamento delle sanzioni. Altro tema di propaganda, altro segnale delle contraddizioni iraniane e, talvolta, occidentali.