Non c’è tregua, né respiro per un Medio Oriente ancora in fiamme dalla Turchia alla Siria, dall’Iraq fino a Israele e Palestina, con riflessi inquietanti nello Yemen, in Egitto, Libia e area maghrebina. La strage di Ankara getta ombre inquietanti su una spirale di destabilizzazione della regione rispetto alla quale antichi disegni geostrategici e croniche strategie eversive si confondono e si intrecciano con nuovi scenari e attori emergenti. La ribellione al regime siriano, guidato dal presidente baathista, di fede sciita-allawita, Bashar al-Assad, inizialmente orientata all’agognata conquista della democrazia, è divenuta terreno di scontro per l’egemonia nella regione tra le due maggiori confessioni islamiche, sunniti e sciiti e per la rivalsa dei primi nel vicino Iraq, dopo la penalizzazione subita a seguito dell’invasione anglo-americana del 2003 e della conseguente deposizione del dittatore baathista sunnita Saddam Hussein.
LE AMBIZIONI DI ISIS
La ribellione siriana è stata egemonizzata dalla fazione più estrema del rigurgito sunnita, l’Isis,
che ha acquisito una forza attrattiva sconvolgente, in ambito mondiale, in virtù del proposito di restaurare il Califfato, divenuto la sua bandiera. Se, in un primo momento, si è ritenuto, da parte di alcuni osservatori, che la rivalsa sunnita nei due Paesi ad egemonia sciita, Siria e Iraq, fosse considerata con favore da parte di regimi di tradizione sunnita (Arabia Saudita, Qatar, Turchia), le ambizioni dell’Isis e, riteniamo, anche le barbarie atroci compiute ai danni di prigionieri ed ostaggi, dovrebbero avere indotto nei governanti di questi Paesi la consapevolezza del pericolo rappresentato dal sedicente Califfato e dalla sua formidabile
capacità attrattiva. Pericolo che minaccia la stabilità di questi stessi regimi sunniti, non sempre molto popolari tra i propri cittadini.
E la preoccupazione si estende alle altre aree del mondo, ai Paesi dell’Occidente, nei quali l’Isis esercita un forte richiamo per tanti giovani disposti ad arruolarsi nella sua campagna militare per il Califfato. E’ ormai evidente che non ci troviamo più dinanzi a un fenomeno di mero terrorismo (c’è anche quello, certamente, pensiamo a Charlie Hebdo e altri gravissimi attentati), ma soprattutto a una guerra di posizione, un’avanzata che consente al Califfo l’acquisizione di sovranità su porzioni di territorio di Siria e Iraq (e lo stesso avviene nella Libia devastata dagli scontri di fazione del dopo Gheddafi). Con le conseguenze disastrose cui assistiamo ormai da mesi, popolazioni scalzate dai propri territori, esodi di massa verso l’Europa, persecuzioni e repressioni nei confronti di ogni professione di fede diversa dal fondamentalismo estremo
dei seguaci dello Stato Islamico.
FAUTORI DEL CALIFFATO
Il quadro che ormai da qualche anno ci viene prospettato evidenzia che, ancor più di conflitti e criticità cronici presenti nell’area e nel mondo arabo-islamico più in generale, la minaccia numero uno del nostro tempo è proprio questa, un pericolo imminente non solo per curdi e sciiti che la combattono da tempo con determinazione, o per le minoranze cristiane e yazide, o per quegli stessi sunniti estranei al fanatismo dell’Isis, ma anche per la stessa tenuta degli stati a prevalenza arabo-sunnita (Arabia Saudita ed Egitto in testa), per la Repubblica turca e per Israele! Entità politiche ormai consolidate nella regione che costituiranno sempre un ostacolo da rimuovere per i fautori del Califfato. Inutile illudersi di utilizzare quest’ultimo contro i curdi, contro la possibile egemonia iraniana nella regione, contro la maggioranza sciita irachena! Chi taglia le gole, trasforma un prigioniero in una torcia umana, distrugge monumenti patrimonio dell’umanità, non avrà certo rispetto per le consolidate sovranità costituite dopo la dissoluzione di quel Califfato che si intende ricostituire.
A fronte di quanto sta accadendo, ha ancora un senso arrovellarsi sui cavilli, sui giochi delle parti, sulle sfere di influenza e sulle preoccupazioni per le minime alterazioni del bilancino degli equilibri tra sunniti e sciiti, o tra le due superpotenze mondiali?! La pace e la sicurezza universali sono in evidente pericolo e, rispetto a questo, le competizioni egemoniche mondiali e regionali passano in secondo piano. Così come il dispotismo del regime di Assad, tema che dovrà certo essere affrontato, ma quando la minaccia principale sarà stata vanificata. Lo stesso interventismo di Putin, legato certamente ai suoi interessi nell’area e alla sua esigenza di assecondare i suoi alleati nella regione, Iran e Siria, deve comunque essere valutato come un ulteriore supporto, utile a debellare la minaccia principale, senza eccedere in quell’insofferenza e in quella prevenzione che talvolta sembra emergere in taluni settori dell’establishment
americano, che riflettono probabilmente i timori degli alleati arabo-sunniti, sauditi in testa, con riferimento a una possibile egemonia iraniana nella regione, favorita dall’appoggio di Putin. E pesa l’ossessione del governo di Ankara in ordine a un ipotetico progetto statuale dei curdi, che la lotta contro l’Isis potrebbe, nella loro percezione, favorire, in un futuro non troppo lontano.
Anche nel mondo sunnita occorre peraltro distinguere, data la sintonia che invece si registra tra il regime egiziano di Al Sisi e lo stesso presidente russo. Certo, nessun timore, nessuna riserva, nessuna fondata prudenza deve essere sottovalutata. Ogni coalizione, ogni forma di collaborazione deve essere realizzata con patti chiari, intese precise, rispettose degli interessi e delle preoccupazioni dei singoli attori etnici e statuali.
DISGELO TRA WASHINGTON E TEHERAN
E di forte aiuto può ritenersi, a tal riguardo, il disgelo realizzatosi finalmente tra Washington e Teheran sul nucleare, dopo anni di estrema tensione. Ogni realistica convergenza deve essere oggi ricercata per evitare due possibili scenari: lo smembramento di Siria e Iraq in molteplici entità contrassegnate da lotte e scorrerie infinite tra le diverse fazioni, in cui la sopraffazione del più forte – pro tempore – prevalga costantemente sulla civiltà e sul diritto; oppure la vittoria del vessillo nero dell’Isis, un soggetto con cui non è possibile interlocuzione diplomatica e che rigetta i più elementari princìpi di civiltà e di umanità.
Per neutralizzare entrambi questi rischi, Usa, Russia, Europa, Stati arabi e mediorientali devono
agire coesi, come sempre dovrebbe accadere, quando il pericolo di un nemico comune sovrasti
il rilievo di antiche reciproche controversie e diffidenze. Ci sarà poi tempo e modo per affrontarle, confidando sulla saggezza e la fiducia che una sfida affrontata insieme deve necessariamente suscitare.