Ricordate i neo-keynesiani della sinistra di casa nostra, che avevano scritto sulle loro bandiere “Per Draghi, contro Fornero”, dimentichi del fatto che la BCE non avrebbe mai potuto fare il Fondo salva-Stati, né il quantitative easing, se in Italia non si fosse fatta, insieme a tante altre cose, la riforma delle pensioni? Ecco, sono gli stessi che oggi chiedono a gran voce che l’UE si indebiti emettendo gli eurobond per rilanciare keynesianamente l’economia continentale con una iniezione di denaro fresco, destinato a finanziare le grandi infrastrutture (purché non l’Alta Velocità, s’intende), ma al tempo stesso non vogliono saperne decentralizzare il meccanismo di determinazione collettiva dei minimi salariali.
Draghi invece ci avverte che, disattivate al livello nazionale le due leve della svalutazione monetaria e degli aiuti di Stato, se vogliamo evitare aumenti eccessivi della disoccupazione e l’avvitarsi delle crisi nei periodi di vacche magre, il superamento della rigidità degli standard retributivi – oggi in Italia troppo bassi per il Nord e troppo alti per il Sud – è diventato una necessità ineludibile.
In un sistema dell’euro ben funzionante, o si contrattano i salari al livello continentale (ma allora occorrerebbe accettare enormi flussi migratori dalle regioni più povere verso quelle più ricche, cosa che nessuno vuole), oppure occorre adottare un meccanismo di determinazione degli standard retributivi capace di adattarli rapidamente alle congiunture negative e alle circostanze periferiche particolari. È quello che il Governo, in sintonia con la BCE, oggi chiede a sindacati e Confindustria. Quando dice “no” al Governo, Susanna Camusso contraddice il proprio “sì” a Draghi e alle politiche espansive con cui la BCE sta riavviando alla crescita il sistema dell’euro.
(articolo tratto da pietroichino.it)