Pur di rimuovere, come vedremo, un presente o un passato recente assai sgradito, gli avversari di Matteo Renzi, ne paragonano gesta, propositi e stile a quelli della Dc dei lontani, anzi lontanissimi anni 50 del secolo scorso.
Era il tempo in cui la Dc di Amintore Fanfani, toscano peraltro come Renzi, prendeva più del 40 per cento dei voti, come lo stesso segretario del Pd ricordò l’anno scorso festeggiando l’analogo risultato conseguito nelle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Ma con partecipazioni assai diverse alle urne: altissime allora e alquanto basse adesso, pari a quasi la metà degli elettori.
Allora la Dc cavalcava la ripresa economica dando dei gufi e disfattisti, o quasi, come sta facendo Renzi, a quelli che da sinistra la contestavano denunciando perduranti diseguaglianze sociali e reclamando una politica più sensibile alle classi disagiate. Ma allora spiravano forti venti sulle vele dell’economia italiana, la cui crescita viene ancora indicata come “miracolo”, ed ora il governo si deve accontentare di spifferi sperando, e augurandoci tutti, che durino e aumentino di consistenza.
Anche a quell’epoca i governanti dello scudo crociato, come ha scritto sull’Espresso Marco Damilano, erano insofferenti ai professori, agli scrittori e agli editorialisti che li criticavano, liquidati come “culturame”, per esempio, dallo storico ministro dell’Interno e poi anche presidente del Consiglio Mario Scelba, come oggi fanno Renzi e la sua ministra di fiducia Maria Elena Boschi. Che irridono i costituzionalisti convinti che il nuovo Senato progettato dal governo superi sì il bicameralismo paritario e paralizzante prodotto dalla Costituente alla fine del 1947, ma sia più un pasticcio che altro.
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Dall’epoca evocata dall’Espresso ad oggi sono passati 60 anni, quanti sono quelli dello storico settimanale della sinistra italiana, che li sta giustamente celebrando con inserti e feste perché sono stati di sicuro successo per la testata.
Ma oltre 50 di questi 60 anni, cioè più di mezzo secolo, appaiono francamente sprecati, rimossi dalla storia e collocati nella cronaca pur di rimuovere un personaggio politico, Silvio Berlusconi, nei cui riguardi una certa sinistra da sempre in ritardo di evoluzione ha coltivato un odio non ancora metabolizzato, dicendogliene e facendogliene di tutti i colori. Come negli anni 50 il Pci fece con la Dc di Alcide De Gasperi, di Fanfani e, negli anni 60, anche di Aldo Moro per via della “delimitazione” della maggioranza di centro-sinistra da lui realizzata con i socialisti di Pietro Nenni, e chiusa originariamente ai comunisti. Ai quali solo alla fine degli anni 60, in concorrenza con i dorotei di Mariano Rumor e Flaminio Piccoli, che lo avevano rovesciato da Palazzo Chigi scavalcandolo con la formula del centro-sinistra “più coraggioso e avanzato”, Moro offrì e praticò la storica “strategia dell’attenzione”. Sino ad aiutarli negli ultimi anni della sua vita, grazie anche agli “strappi” di Enrico Berlinguer dall’Unione Sovietica, ad affacciarsi e a rientrare in una maggioranza transitoria, chiamata “di solidarietà nazionale”.
(CHI C’ERA ALLA FESTA PER I 60 ANNI DE L’ESPRESSO. LE FOTO DI PIZZI)
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Più che alla Dc dei lontanissimi anni 60 del Novecento, Renzi mi sembra simile al Berlusconi di sette anni fa e successivi, che aveva già tentato la riforma del bicameralismo, aboliva l’Imu dalla prima casa, si difendeva dalla rivolta e poi dall’uscita di Gianfranco Fini dalla maggioranza di centrodestra incoraggiando e accogliendo i fuoriusciti dal centrosinistra, come sta facendo adesso il presidente del Consiglio con Denis Verdini. Che in una intervista a Repubblica Renzi ha appena difeso dagli attacchi mossigli da sinistra e destra dicendo che “non è” il leggendario “mostro di Loch Ness”.
Renzi assomiglia inoltre al Berlusconi del 2010 e 2011 che si lamentava degli abusi nella divulgazione delle intercettazioni eseguite nei procedimenti giudiziari; che protestava contro il pessimismo e il “disfattismo” dei critici dei suoi conti; che opponeva alle previsioni della crisi economica e finanziaria, prima dell’oggettiva scatenamento della speculazione nel mercato dei titoli di Stato, lo spettacolo vero dei ristoranti pieni e dei pacchetti delle vacanze esauriti nelle agenzie di viaggio; che opponeva al rigore e ai sorrisi sarcastici di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy la necessità di un’applicazione “flessibile” dei vecchi parametri dell’Unione Europea; che infine resisteva alla guerra voluta dai francesi contro Gheddafi, così come ora Renzi resiste alla guerra contro Assad in Siria, ritenendo prioritaria quella contro il califfato dei tagliagole.
I due, Renzi e Berlusconi, sono insomma molto meno distanti, o più vicini, di quanto essi non vogliano ammettere, e non ritenga Verdini con lo “spreco” del taxi, già rimproveratogli con felice sarcasmo dal Fatto, per fare “i due passi” che li separano.