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Siria, tutto il risiko diplomatico

C’è in questi giorni un’intensa attività diplomatica intorno alla Siria, mentre sul campo gli scontri proseguono a ritmo sempre più sostenuto. Questo è di per sé un importante segnale, perché ammesso (ma non concesso) che gli incontri dei vari negoziatori internazionali possano portare a qualche soluzione, poi bisognerà farla digerire ai gruppi combattenti. Compito per il momento quasi impossibile.

PRIMA IL CAMPO DI BATTAGLIA

Soltanto nell’ultima settimana, i caccia russi hanno colpito circa 500 volte, dato ufficioso, perché, dopo altre segnalazioni di vittime civili, il 23 ottobre il ministero della Difesa di Mosca ha interrotto l’aggiornamento stampa degli attacchi (in uno dei raid, secondo Human Right Watch, sarebbero rimasti uccisi 33 bambini). Si sa, comunque, che i raid continuano ad essere concentrati tra Aleppo, Latakia, Idlib, Hama, Homs e la provincia di Damasco. Ad Aleppo è particolarmente calda la zona della base aerea di Kowaires (o Kweres), che è un aeroporto militare con scuola di volo per piloti, stretto d’assedio da anni. Se dovesse cadere in mano all’IS (si trova nell’area di Aleppo in cui i baghdadisti sono presenti e tornati pressanti dopo l’avvio delle operazioni russe) sarebbe un duro colpo per la coalizione russo-iran-siriana: la vendetta del Califfo potrebbe portare ad esecuzioni di massa (sui cadetti, una cosa simile a quella vista a Tikrit, in Iraq) e questo significherebbe che nulla è cambiato con l’intervento russo.

Invece lo sforzo militare di Mosca è al massimo dell’intensità vista finora (lo dimostrano i numeri), e pure quello degli alleati iraniani. A proposito di questi ultimi, continua il mistero delle uccisioni di ufficiali tra l’esercito di Teheran: negli ultimi 11 giorni sono morti in 14 tra gli alti ranghi. I comandanti iraniani adesso hanno messo anche la milizia sciita irachena Liwaa Abu Fadl Al Abbas a combattere in prima linea ad Aleppo.

DOPO LA DIPLOMAZIA

L’intensità dello sforzo degli “amici” di Bashar el Assad è alta anche sul campo diplomatico: da quando Mosca è entrata in guerra al fianco della Siria, s’è registrato l’intensificarsi degli incontri e dei piani per soluzioni politiche.

La scorsa settimana è iniziata con una pseudo-apertura di Ankara, che si diceva disposta ad accettare un periodo di transizione con Assad al potere per altri sei mesi. Sembrava che la disponibilità turca potesse essere conseguenza della telefonata tra il presidente russo Vladimir Putin con Recep Tayyip Erdogan, ma a distanza di poco tempo tutti gli osservatori concordano nel dire che era più che altro un ultimatum, per questo non è stata presa ulteriormente in discussione (per ora). In quelle ore Putin aveva contattato anche il re saudita Salman (Turchia e Arabia Saudita sono entrambi schierati sul fronte opposto a quello di russi e siriani e sostengono la necessità di un regime change a Damasco). Erano i giorni successivi alla visita moscovita di Assad, un incontro incastrato in mezzo all’intensa attività diplomatica del presidente russo.

LE ELEZIONI ANTICIPATE

Questa stessa settimana s’è chiusa invece con Mosca che ha annunciato, attraverso un’intervista del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, la disponibilità del presidente Assad ad indire nuove elezioni, replicando le presidenziali di poco più di un anno fa (dove l’attuale presidente aveva vinto con l’88 per cento contro due candidati fantoccio). L’uscita di Lavrov, che ha sottolineato che il voto dovrà essere subordinato alla “vittoria sul terrorismo”, arriva al termine di due giorni molto intensi: il weekend passato, infatti, ha visto i vertici diplomatici russi di nuovo molto impegnati, prima con le controparti americane, turche e saudite a Vienna, poi in un giro di consultazioni telefoniche con iraniani ed egiziani (e ancora i sauditi, per la seconda volta in una sola settimana).

La elezioni anticipate menzionate da Lavrov, ad un prima analisi, sembrano un atto preliminare del grande piano per spostare Assad dal centro della scena. La Russia, fondamentalmente, appare sempre più interessata a mantenere in piedi la struttura di sicurezza del regime (quella che garantisce a Mosca l’alleanza geopolitica): con Assad o senza, pare un problema marginale. Se la soluzione diplomatica funzionerà, la Russia potrà rivendicare di aver messo a disposizione la leadership necessaria per raggiungere il risultato: se va male, c’è sempre qualcuno pronto per essere incolpato.

Tra l’altro, la volontà di Putin di “restare in Siria” ha anche uno scopo collegato alla sicurezza interna: cellule jihadiste russe ci sono non solo in Caucaso, ma anche a Mosca e San Pietroburgo, come lungo l’asse del Volga e sugli Urali, per non parlare del confine afghano. Il rischio del “terrorismo di ritorno”, considerando il numero di russi che sono andati a combattere soprattutto in Siria, è alto. Inoltre, la Russia combatte al fianco del regime alawita filo-sciita siriano e della Repubblica islamica sciita di Teheran: questa è una nota peggiorativa alla situazione, visto che i musulmani russi sono quasi esclusivamente sunniti.

AIUTARE I RIBELLI (RUSSIAN EDITION)

Non bastasse l’apertura sulla possibilità elettorale, Lavrov ha pure rilanciato, dicendosi pronto ad offrire sostegno a fazioni di ribelli moderati come il Free Syrian Army (FSA), nell’ottica di combattere lo Stato islamico. In questo va evidenziato un problema: il FSA è una componente laica, storica nell’opposizione siriana (“l’opposizione patriottica”), dove per “opposizione” si intendono coloro che combattono il regime del presidente Assad; dunque la possibilità che questi accettino il supporto aereo russo per combattere il Califfo, dai medesimi caccia che li mettono al centro del mirino su altri fronti, sembra abbastanza improbabile. E infatti, lunedì, il giorno successivo all’uscita delle dichiarazioni di Lavrov, è stato tutto un susseguirsi di prese di posizione da parti di comandanti del FSA, che hanno fatto sapere ai media internazionali di rifiutare qualsiasi offerta da Mosca. Ciò nonostante, il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bodganov ha dichiarato che una delegazione del FSA era stata a Mosca per un incontro, secondo quanto riferito dall’agenzia Interfax.

Lavrov, spiegando chi doveva partecipare alle nuove elezioni siriane, aveva parlato di un «gamma completa delle opposizioni», ma a quali opposizioni fa riferimento non è chiaro, visto che Mosca nel corso di questi ultimi venti giorni s’è espressa in modi abbastanza diversi sul tema: “non c’e’ opposizione, solo terroristi”; “quelli dell’Esercito libero sono dei fantasmi, non esistono”; “al limite si può inserire l’Esercito libero nella lotta all’Isis”; “Assad è pronto a trattare con l’opposizione assennata e con chi è disposto a combattere l’Isis”; “possiamo fornire supporto aereo al FSA”.

AIUTARE I RIBELLI (US EDITION)

I ribelli dell’FSA sono gli stessi che stanno beneficiando del piano di aiuti filo-occidentale. Tornando da Vienna, dove c’è stato l’incontro organizzato dai russi, John Kerry s’è fermato a Riad, per vedere in separata sede il re saudita: insieme hanno deciso che il sostegno ai ribelli moderati sarà potenziato, ma non è stato specificato in quale modo. Dietro c’è anche un noto piano di fornitura militare, con cui vengono dati a fazioni affidabili dell’opposizione combattente siriana missili anticarro. Sono gli stessi missili protagonisti dei video (almeno 99) caricati su Internet in queste ultime settimane, che stanno dimostrando le difficoltà incontrate dalle varie offensive lanciate dall’esercito siriano sotto l’egida russa. Probabilmente a Washington e Riad si sentono rincuorati dal buon fine del programma (le armi sono state effettivamente usate, e non passate di mano a gruppi radicali o vendute sul mercato nero) e dalla sua efficacia (i blindati di Assad, soprattutto sulla piana di Hama, hanno incontrato grosse difficoltà davanti alle piccole unità di lanciatori Tow): per questo potrebbero aver deciso di aumentare l’impegno anche in questo senso.

Sembra, ma si tratta di notizie per adesso non confermabili, che una nuova spedizione di Tow anticarro sia prevista per novembre.



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