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Siria, cosa si nasconde dietro la morìa di generali di Teheran?

L’ultimo in ordine di tempo è stato Nadir Hamid, alto comandante delle milizie Basij, un’unità paramilitare ausiliaria e subordinata ai pasdaran. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale iraniana Fars, Hamid è morto nei pressi di Quneitra, a sud di Damasco (vicino al Golan). Hamid, che è morto durante uno scontro a fuoco con i ribelli, era il coordinatore della milizia iraniana in Siria ed era uno specialista nella soppressione delle rivolte (questo è il ruolo interno di stretta pertinenza dei Basij).

Hamid è il sesto alto ufficiale iraniano (o filo iraniano) a morire in Siria dall’inizio dell’offensiva russa, e se si considera che i numeri diffusi da Teheran (quindi da prendere con relativa cautela) parlano di 113 soldati iraniani morti dall’inizio della guerra, allora la sproporzione è chiaramente enorme.

Tutto è cominciato il 9 ottobre, quando ad Aleppo è stato ucciso il generale iraniano Hossein Hamedani, notizia ripresa da tutto il mondo, perché tutti sapevano che Hamedani era il numero due del generale Qassem Suleimani, l’architetto della strategia militare iraniana “nel mondo”. Teheran ha minimizzato definendolo “un consulente di alto rango di Assad”, ma il ruolo del generale era molto di più: comandava tutte le forze iraniane che nel corso del tempo hanno appoggiato il regime, e cioè pasdaran, milizie sciite, Basij, Quds, ed era in Siria dal 2012. Anche lui era una specialista nel reprimere le rivolte popolari, prima s’era occupato dei curdi, poi di Teheran nel 2009 e per questo Suleimani lo aveva scelto per il delicato incarico siriano. Era uno uomo dell’apparato, che prende le decisioni che contano e che si muove tra Damasco, Teheran, Beirut e ora anche Mosca e Baghdad. Come ha scritto Peter Smyth sul Daily Beast, “definire Hamedani consulente è come parlare di Napoleone come di un generale francese”. Tre giorni dopo, il 12 ottobre, sono stati uccisi altri due comandanti di brigata delle Guardie Rivoluzionarie, Farshid Hasounizadeh e Hamid Mukhtarband. Nel frattempo, il 10 ottobre, è stata annunciata l’uccisione di Hassan Hussein al Hajj, che era uno dei più importanti comandanti di Hezbollah. Secondo Fars News, Hajj era coinvolto “nelle operazioni più rilevanti in Siria, con la copertura aerea dei russi”. Il 12 ottobre, un giornale vicino a Hezbollah ha scritto anche che la morte in battaglia è toccata pure a Idlib Mahdi Hassan Obeid, figura centrale nella guerra contro Israele del 2006. A queste vittime “eccellenti”, va aggiunta quella del generale dell’esercito siriano Maan Dib, morto, secondo Damasco, durante l’offensiva a Homs il 16 ottobre.

Queste figure avevano tutte dei ruoli chiave, e non erano dei semplici ufficiali, ma proprio dei comandanti operativi ed esecutivi che pianificavano e progettavano la linea politico-militare in Siria. Ci sono molte versioni su quanto accade. La prima è che si sia trattato di un episodio singolo, in cui un attacco dei ribelli abbia ottenuto uno strike di alto livello: nella fattispecie, la diffusione delle notizie in fasi temporali (e collocazioni) diverse, serve semplicemente per non ammettere il duro colpo subito dagli assadisti (la perdita simultanea di molti comandanti, avrebbe potuto demoralizzare le truppe). In quest’ottica, il colpo singolo, potrebbe trattarsi anche di una circostanza di “fuoco amico”: una bomba sganciata dai caccia russi o siriani, che ha per errore colpito il vertice degli ufficiali (anche in questo caso, si sarebbe scelto di non diffondere la notizia delle morti tutti insieme, per le ragioni già citate).

Più improbabile la circostanza di faide interne, seppure circostanze del genere non sorprenderebbero gli analisti. Possibile che invece giri una killing list: la lista dei possibili killer è lunga. L’Isis (anche se non è forte nelle zone dove sono state annunciate le uccisioni), i ribelli, qualche servizio segreto nemico dell’Iran. Ci sono stati altri generali uccisi in passato in Siria, le loro morti sono sempre state avvolte nel mistero, con i responsabili mai accertati: in almeno un caso si sospetta che a colpire sia stato un cecchino mandato dal Mossad israeliano.

Dietro a questa sproporzione di perdite, secondo alcuni osservatori, si nasconde anche una verità: l’Iran non è militarmente forte come viene raccontato. Sia in Iraq sia in Siria, le truppe scelte, gli strateghi, le milizie fomentate e le loro derive settarie non sono riuscite ad invertire la dinamica del conflitto, o lo hanno fatto in modo puntuale e quasi insignificante, per adesso. Anche in quest’ottica (tralasciando gli aspetti geopolitici) va letta la decisione russa di mettersi in azione direttamente al fianco di Bashar al-Assad.

Mercoledì è stato il giorno in cui la Guida suprema della Repubblica teocratica islamica iraniana, Ali Khamenei, ha detto definitivamente “sì” all’accordo internazionale sul ridimensionamento del programma nucleare di Teheran (anche se ha chiarito che tra quindici anni, gli obiettivi fissati dal programma prima dell’accordo torneranno operativi). Contemporaneamente, il governo ha annunciato l”invio di nuovi soldati per andare a difendere “i luoghi sacri dello sciismo” in Siria.



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