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Turchia, tutti i dettagli sull’attentato ad Ankara

Due esplosioni hanno colpito una manifestazione di protesta, pacifica, nel centro di Ankara. Nel momento della stesura di questo pezzo i morti sono 86 e i feriti 186, ma il bilancio potrebbe ancora crescere visto che 28 sono in gravi condizioni. Si tratta di curdi, molti giovani, che manifestavano contro la guerra che il governo di Recep Tayyp Erdogan sta conducendo contro il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan.

Il Pkk è un partito/milizia, protagonista di una storica opposizione armata nella richiesta di maggiore indipendenza dal governo centrale: negli ultimi tempi si sono riaccese le tensioni rimaste quiescenti dal 2013, ma ora i curdi hanno dichiarato una tregua unilaterale alla luce dell’attacco odierno. Nei giorni passati Ankara aveva rifiutato la proposta curda di una tregua pre-elettorale, prima cioè delle elezioni anticipate che si terranno tra tre settimane.

Dopo le esplosioni ci sono stati scontri tra i partecipanti al corteo e la polizia, che ha sparato colpi in aria per disperdere i manifestanti che urlavano slogan in cui definivano i poliziotti «assassini».

Il clima è molto teso nel Paese, perché da quando Erdogan ha deciso di avviare una missione di anti-terrorismo ufficialmente contro lo Stato islamico si sono riaccesi gli scontri con il Pkk, messo nel mirino dei raid dell’esercito turco molto più spesso della minaccia confinante e threat globale del califfato.

L’ipotesi di attacco terroristico non è ancora stata confermata, tuttavia sembra altamente probabile; nel caso, è consequenziale pensare che gli autori siano uomini dell’IS. Si tratterebbe dunque del terzo massiccio attentato negli ultimi quattro mesi subito dal partito curdo. Poco prima delle elezioni di giugno – quelle chiuse senza una maggioranza di governo che dunque saranno ripetute il primo di novembre -, era stato colpito un comizio elettorale dell’HDP, il partito moderato curdo (che poi a quelle elezioni ottenne un risultato storico eleggendo rappresentati indipendenti in Parlamento).

L’attentato, prima fatto passare dalle autorità turche come un corto circuito elettrico, avvenne a Dyarbakir, città prossima al confine siriano: quattro morti e cento feriti in quell’occasione. A luglio ad essere colpito fu un centro culturale a Suruc, altra città vicinissima alla Siria, dove un gruppo di ragazzi curdi si stava organizzando per portare aiuti umanitari nella vicina Kobane, il cantone dei fratelli curdi siriani liberato da un lungo assedio dello Stato islamico. a Suruc ci furono trentatré morti e altri cento feriti.

Il leader dell’HDP Selahattin Demirtaş, che sta chiedendo la fine delle tensioni tra il governo e il Pkk, ha detto che l’AKP, il partito attualmente al governo (quello di Erdogan), ha «le mani sporche di sangue» e ha annullato tutti i comizi del partito in programma. Il riferimento va alle responsabilità che i curdi addossano al governo sulle stragi che li hanno colpiti: gli attentati sarebbero frutto del lassismo governativo nei confronti dei radicali islamici dell’IS, che ha i curdi come nemici ed ha rivendicato entrambi gli attentati precedenti ad oggi. Fu proprio l’attacco di Suruc, utilizzato da Ankara come motivazione formale per dare il via all’operazione militare “antiterrorismo”, a sollevare le ire curde, trasformate in rappresaglie armate contro le forze di sicurezza governative da parte del Pkk.

La situazione nel Paese è diventata molto complicata: è in atto una sorta di guerra civile tra governo e Pkk, di cui però risente tutta l’etnia curda, con i movimenti nazionalisti infiammati dalla situazione. Secondo diversi analisti si tratta di una strategia politico-elettorale, “una strategia della tensione”, creata da Erdogan per sfiduciare (e spaventare) i curdi moderati ed evitare il ripetersi del successo elettorale dell’HDP alle prossime elezioni: Erdogan è in cerca della maggioranza assoluto, per far passare alcune modifiche costituzionali che gli permetterebbero di avere maggiori poteri.

Le colpe del governo sarebbero quelle di lasciare agire i kamikaze del Califfo, sebbene c’è anche chi pensa alla possibilità che questi si muovano su coordinamento dei servizi segreti di Ankara, che utilizzerebbero i jihadisti per compiere il lavoro sporco contro i curdi. Ma sono solo supposizioni: fatto sta che il governo di Erdogan, a pochi giorni dalle elezioni, si trova davanti una situazione instabile. In questo momento la polizia gira per la capitale turca in tenuta antisommossa ed è stata vietata la diffusione del video delle esplosioni.

(pezzo aggiornato alle ore 16,30)


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