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Tutte la marinate di Marino

Il presidente del Pd Matteo Orfini è tornato a scivolare sull’ottimismo liquidando come “un mero riferimento normativo” i venti giorni che si è preso per eventuali ripensamenti il sindaco dimissionario Ignazio Marino. Che per cominciare ha ritardato il conto decidendo di “formalizzare” solo lunedì le dimissioni annunciate alla fine di un venerdì di passione fuori stagione.

“Rinchiuso come un leone in gabbia – ha raccontato su Repubblica Giovanna Vitale – Marino somiglia a un pendolo impazzito, incapace di star fermo, un occhio alle agenzie e l’altro sul telefonino, in attesa di un segnale che non arriverà. Oscilla tutto il giorno tra depressione e esaltazione, frustrazione e rabbia, fino alle lacrime versate in giunta”. Che egli aveva riunito come alla sua ultima cena, senza scontrino, e anch’essa fuori stagione.

Il segnale atteso inutilmente da Marino era un comunicato di apprezzamento da parte del segretario del partito e presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che però, già furente con Orfini per non avere voluto spingere il sindaco alle dimissioni prima dell’estate, aveva risposto: “Se lo può scordare”. Parola di Maria Teresa Meli, che sul Corriere della Sera riferisce puntualmente, raccogliendoli di primissima mano, anche i sospiri di Renzi con i suoi fedelissimi.

Ancora più esigente di Marino nel reclamare la partecipazione di Renzi al suo dramma era stata nell’ufficio del Campidoglio dove il sindaco ad un certo punto, secondo Fabrizio Roncone, sempre sul Corriere, si era anche “chiuso a chiave”, la sua fedelissima Alessandra Cattoi. Che aveva gridato: “Se Renzi vuole le dimissioni, venga qui, in Campidoglio, a chiedergliele”. Parola della già ricordata Giovanna Vitale su Repubblica. Ma Renzi aveva preferito volare a Modena, dall’amico Sergio Marchionne.

La povera Cattoi, sempre secondo la ricostruzione della Vitale, aveva cominciato la giornata di prima mattina a casa di Marino portandogli agende, quaderni e fascicoli con le prove di tutte le pressioni esercitate sul sindaco per nomine e quant’altro dai compagni e dirigenti del partito. Fra queste, una copia della mail con la quale Walter Veltroni aveva raccomandato per la nomina a comandante dei Vigili Urbani quel Luca Ovedaine destinato a finire nella retata di Mafia Capitale.

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Alfonso Sabella in persona, il magistrato portato in giunta da Marino per accreditarsi sul fronte della legalità, ha raccontato in una intervista di essersi trovato in una situazione “complicata” trovandosi “al fianco di un sindaco sottoposto a indagine per peculato e falso in atto pubblico, al di là delle cifre irrisorie” degli scontrini delle spese “contestabili” di rappresentanza: “circa 9 mila euro in ricevute – ha precisato Sabella – su un totale di 19.704.36”, alla fine interamente restituiti da Marino al Comune come “regalo”. Novemila euro, poche ma maledettamente compromettenti perché “in questo momento”, e per “fatti da cui sono trascorsi anche due anni”, Marino “non è in grado di dimostrare la sua innocenza”, ha aggiunto il magistrato assessore e amico. Che tuttavia ha assicurato, non si sa se aiutandolo o danneggiandolo involontariamente: “Capisco che far passare Marino per fesso è diventato uno sport nazionale, ma assicuro che non lo è per niente”.

Un Marino goffamente furbo è quello raccontato sul Corriere sempre da Roncone, riferendo di una testimonianza resagli da Alessandro Onorato, amico di Alfio Marchini, e documentata con riprese di un cellulare a Villa Torlonia: “Girava bello comodo in macchina e poi,  500 metri prima di arrivare all’appuntamento, giungeva un furgone da dove gli scaricavano la bici”, sulla quale la gente avrebbe potuto apprezzarlo alla meta, fresco, aitante, ecologico e parsimonioso.

Anche Marco Travaglio, sul Fattopur concedendo a Marino l’attenuante di essere stato sostenuto nella corsa al Campidoglio da dirigenti di partito infidi, interessati a “rifilargli il cetriolo di una città già morta e fallita”, e sostenendo che “se fosse un ladro, non ruberebbe 20 mila euro per cene, con tutti i milioni che gli passano sotto il naso”, ha definito quella di Marino anche “la tragedia di un uomo ridicolo: Ignazio Marino, detto Ignaro”.

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L’”Ignaro” applicato da Travaglio a Marino come sostitutivo di Ignazio è diventato “Disgrazio” nell’urticante commento di Filippo Ceccarelli su RepubblicaDove Francesco Merlo ha definito “verità al servizio della bugia” il deposito spontaneo, per ragioni di trasparenza, delle ricevute e delle certificazioni di Marino sui suoi ospiti al ristorante. E ha così concluso la rappresentazione della vicenda: “Prima dei camerieri romani”, con i loro racconti sugli ospiti veri di Marino a tavola, e non quelli indicati nei documenti ufficiali, “è stata Sua Santità a licenziare Marino”  facendolo apparire come un imbucato alle cerimonie del suo recente viaggio a Filadelfia. E ne ha parlato così – ha scherzato Merlo – dopo che “lo Spirito Santo gli aveva mostrato gli scontrini” fatali. Di rincalzo, il giornale del Vaticano ne saluterà le dimissioni accusandolo di “lasciare solo macerie”.

Salvatore Merlo, sul Foglio, ha scritto del “climax del grottesco, tra urla e pernacchie” nel quale sono maturate le “palindrome dimissioni” del sindaco di Roma, leggibili cioè sia da destra sia da sinistra, interpretabili sia come autentiche sia come finte, annunciate ma non protocollate, date ma con la riserva o la speranza – che, si sa, è l’ultima a morire – di poterle ritirare all’ultimo momento, a costo di aprire un ennesimo e più goffo capitolo della già troppo lunga Marineide. Contrassegnata, per usare le parole di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, dalla “stolida insensibilità autoreferenziale” del chirurgo sottrattosi ai trapianti.

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