Siria, Ucraina, Mediterraneo. Tre fronti sui quali, in modo sempre più marcato, la Russia sta guadagnando giorno dopo giorno le prime pagine di tutti i giornali: il sostegno incondizionato al dittatore Bashar al-Assad; i finanziamenti ai ribelli nell’Est di Kiev; le mire sul Mare Nostrum in collaborazione con la Cina. Teatri ed episodi apparentemente distinti, ma legati dal fil rouge protagonismo (e spesso dagli eccessi) del suo presidente, Vladimir Putin, alla ricerca di una strategia che gli consenta di contare di più sul piano internazionale e, al tempo stesso, di tirarsi fuori dall’angolo in cui s’è cacciato nella crisi di Kiev e di tenere alto un consenso interno messo a dura prova dalla pesante crisi economica in cui versa il Paese.
IL QUARTETTO NORMANDIA
Oggi, a Parigi, si tiene un nuovo incontro del cosiddetto “quartetto Normandia”, che riunisce i leader di Francia, Germania, Ucraina e Russia per parlare della crisi di Kiev. I quattro – François Hollande, Angela Merkel, Petro Poroshenko e Vladimir Putin – si rivedranno per la prima volta in questo formato dallo scorso 12 febbraio, quando furono siglati gli accordi di Minsk-2 che aprirono la strada al debole cessate il fuoco in Ucraina orientale. Ed è proprio dell’attuazione di questi accordi che si discuterà: nello specifico, l’organizzazione delle elezioni locali a Donetsk e Lugansk, il ritiro delle truppe e il lavoro degli osservatori Osce. Una strada in salita.
LA CAMPAGNA DI SIRIA
Mercoledì scorso, invece, dopo il via libera della Duma – il Parlamento russo – caccia di Mosca sono volati sui cieli siriani su richiesta diretta del presidente Bashar al-Assad. Un intervento giustificato con la volontà di contrastare i drappi neri, ma nei fatti (qui una mappa dell’Institute for the study of war) i raid russi si sono concentrati in particolare su tre province, Homs, Hama e Latakia, dove non è presente l’Isis, bensì gruppi ribelli ostili al dittatore siriano. Per Lara Jakes, deputy managing editor of news per il magazine americano Foreign Policy, già corrispondente dell’agenzia Associated Press, questo sostegno russo al dittatore rappresenta ancora un punto di distanza tra la Casa Bianca e il Cremlino, che dopo i colloqui e i battibecchi dei giorni passati, non sembrano ancora aver trovato un accordo sul destino di Damasco. Secondo l’esperta un accordo tra le due potenze sarebbe possibile (e per certi versi auspicabile), a patto che la Russia smetta di dichiarare irremovibile, anche pubblicamente, il proprio appoggio ad Assad, come confermerebbero appunto i raid, che però sono fonte di attrito tra Washington e Mosca.
LE POLEMICHE TRA USA E RUSSIA
Come già riportato da Formiche.net, da un lato Putin ha definito ieri “un attacco informativo” le notizie di vittime tra i civili causate dagli aerei russi: “ci siamo abituati”, ha detto.
Dall’altro oggi il senatore statunitense John McCain, che guida la Commissione Servizi armati, ha rimarcato le ambiguità russe confermando le indiscrezioni pubblicate da alcuni media Usa – Wall Street Journal su tutti – secondo cui i raid russi in Siria “hanno colpito dei ribelli addestrati dalla Cia”. Non solo. Il 30 settembre, sul Sole 24 Ore, Andrea Gaiani ha rilevato che “il dispositivo militare russo comprende sofisticati sistemi missilistici di difesa aerea che destano non pochi sospetti negli ambienti occidentali considerato che lo Stato Islamico non dispone di forze aeree”. Una preoccupazione riassunta nelle parole del comandante supremo delle forze Nato in Europa, il generale statunitense Philip Breedlove: “Non ho visto volare aerei dell’Isis. Perché la Russia installa in Siria missili antiaerei Sa 15 o Sa 22?”. Solitamente – ha spiegato ancora Gaiani – ogni base in zona di guerra “dispone di difese antiaeree (non si sa mai) ma considerato il clima determinatosi con lo schieramento di mezzi russi probabilmente a Mosca qualcuno non esclude possibili tensioni militari con la coalizione e la Turchia”.
UN PARTNER INDISPENSABILE?
Ma quali pensieri muovono il presidente russo? Per il britannico Telegraph, con il suo intervento in Siria Putin non vuole tanto difendere Assad, quanto dimostrare che è un partner fondamentale per ogni crisi internazionale. Mentre Barack Obama continua a ripetere che “Assad deve andarsene”, con la sua azione il capo del Cremlino dimostra che l’amministrazione Usa non vuole o non può rovesciare questa situazione senza parlare con Mosca. Su Libero, Carlo Panella aveva lanciato pochi giorni fa l’ipotesi che Mosca non è in Siria per fare la guerra all’Isis, ma per assicurarsi una volta per tutte lo sbocco sul Mediterraneo, come quello cercato a Cipro. Mentre sul Wall Street Journal, Yaroslav Trofimov rincara la dose e spiega che la Russia approfitta dei tentennamenti americani per evidenziare il ruolo sempre più minoritario di Washington in Medio Oriente, ma la sua entrata in guerra getta altra benzina sul fuoco siriano. E anzi, mette in evidenza Vox, è molto probabile che queste mosse porteranno il Cremlino a fallire in quel teatro, correndo tra le altre cose il rischio di rafforzare lo Stato Islamico, anziché ridimensionarlo.
CERCASI VIA D’USCITA?
Dalle pagine del think tank americano Atlantic Council, Aaron Korewa – già consigliere politico dell’ex ministro degli Esteri svedese Carl Bildt – respinge la vulgata occidentale di queste ore, che descrive Putin come un grande stratega che starebbe “oscurando” le prudenti mosse della Casa Bianca in Siria. Non bisogna incappare in questo errore di valutazione, rileva l’analista citando Gleb Pavlovsky, un consigliere russo in passato a fianco di Boris Eltsin, di Dmitry Medvedev e dello stesso Putin. Il numero uno del Cremlino, sostiene l’articolo, non sta dando segnali di forza, ma di debolezza. Sta cercando di dimostrarsi affidabile agli occhi europei e americani (quale migliore occasione della guerra al terrore?), per distogliere l’attenzione dall’Ucraina, “congelare” il conflitto di Kiev e, magari, farsi perdonare qualche intemperanza di troppo. Senza contare che, lateralmente, anche Mosca teme che la gramigna Isis possa infestare anche il Caucaso.