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Usa e Cina, cosa è successo nel Mar Cinese Meridionale

Alle 6:40 (ora locale) di martedì mattina, il destroyer della Marina americana “USS Lassen” è entrato nell’ambito delle acque territoriali di una delle scogliere contese nel Mar Cinese Meridionale. Secondo un funzionario militare americano che ha parlato alla Reuters, la nave sarebbe stata accompagnata da aerei di sorveglianza. La missione, di monitoraggio, è durata tre ore.

Il cacciatorpediniere lanciamissili ha ricevuto l’ordine di viaggiare entro 22.2 km da Mischief e Subi, due isolotti nel reef delle Spratly, le isole al centro di una lunga contesa territoriale in cui si sfogano gli istinti nazionalisti di Cina, Vietnam e Filippine (e anche Malesia, Brunei, Taiwan), ma anche grossi interessi economici e strategici.

Pechino, attraverso il ministro della Difesa Wang Yi, ha avvisato Washington di «pensarci due volte prima di creare problemi» nell’area compiendo manovre navali vicino alle due isole artificiali, accusando che l’ingresso della nave americana in quelle acque è illegale. La Cina ne rivendica la sovranità; i funzionari cinesi hanno dichiarato di non essere stati informati dagli USA della presenza dell’imbarcazione. Dall’altra parte, gli Stati Uniti, hanno invocato il concetto di “libertà di navigazione”, mentre i cinesi hanno risposto che questo non implica azioni provocatorie.

LA LIBERTÀ DI NAVIGAZIONE 

La Cina, con una grande operazione di dragaggio iniziata del 2014, ha creato a Subi e Mischief una base militare con tanto di pista di decollo/atterraggio da 3 km, cioè in grado di ospitare aerei da combattimento e cacciabombardieri. Questo è un motivo di preoccupazione americana, che vede la militarizzazione come un chiaro atto di deterrenza regionale: più volte gli Stati Uniti hanno chiesto alla Cina di bloccare questa espansione.

Tuttavia Pechino ha sempre continuato sulla propria linea, e ha anche imposto un limite alla navigazione entro 12 miglia nautiche, cioè i 22 chilometri violati dal “Lassen”, dalle coste di Subi e Mischief, ma la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare lo considera illegittimo secondo una norma che permette la “libertà di navigazione” (quella invocata dagli USA per giustificare la missione odierna) intorno ad isolotti che vanno sommersi dalle maree. I due lembi di reef corallino che ospitano la base erano infatti poco più di due scogli prima che iniziassero le opere ingegneristiche cinesi.

LE ISOLE E LA LORO IMPORTANZA

La controversia sulle Spratly (e sulle isole Paracel) è nata nel 1947, ma soltanto da pochi anni la Cina ha deciso di disporre i mezzi necessari per rivendicare con la forza la sovranità su questi territori. Il motivo per cui Pechino decide di impegnarsi in azioni muscolose per ottenere la sovranità su isolotti minuscoli posti ad oltre mille chilometri dalla Cina continentale, è di carattere geopolitico e può essere letto sotto diverse lenti. Le acque del Mar Cinese Meridionale rappresentano una linea strategica fondamentale, perché ospitano le più importanti rotte commerciali del mondo: si stima il passaggio 5 trilioni di dollari di affari ogni anno. Sui fondali, inoltre, sono presenti giacimenti di gas e petrolio: risorse sfruttabili da chi detiene i diritti sulle acque. In più, tra quelle risorse, non va dimenticata la pesca.

Ottenere la sovranità rivendicata dalla Cina, rappresenterebbe anche una vittoria di immagine a livello internazionale e soprattutto un’affermazione di forza nell’ambito regionale (e di deterrenza, visto che quelle basi sarebbero la testa di ponte in faccia ai principali “nemici” locali).

L’IMPEGNO DI WASHINGTON 

Assicurare il libero flusso dei miliardi di dollari di commerci che galleggiano ogni anno su quelle vie, è il principale interesse ufficiale di Washington, ed è stato anche argomento affrontato nell’ultimo incontro tra il presidente Barack Obama e il suo omologo cinese Xi Jinping. Il tema è uno dei capitoli più complicati dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, anche perché spesso si lega a questioni di altra natura (commerci, economia, politica, diritti, etc). Simone Pieranni ha scritto tempo fa su East Journal: «Gli Usa hanno spostato la propria attenzione nel Pacifico, come dimostra il fatto che se il Tpp è ormai arrivato al termine della fase negoziale, il Ttip è ancora in alto mare».

«La Cina non deve tollerare le dilaganti violazioni degli Stati Uniti nelle acque cinesi adiacenti e nei cieli sopra quelle isole in espansione», scriveva in editoriale di una paio di settimane fa il Global Times, organo ufficiale del partito comunista. La missione del “Lassen”, a questo punto, rappresenta la sfida più grossa lanciata finora a Pechino, e un indubbio tentativo di far sentire forte la propria presenza regionale da parte degli Stati Uniti. Prima di questa, ci fu l’occasione in cui (nel 2013) Obama ordinò a due B-52 di volare attraverso l’Air Defense Identification Zone che la Cina ha istituito nel Mar Cinese Orientale, un altro territorio conteso con il Giappone (un altro degli squilibri geopolitici dell’area).

L’America si arroga il ruolo di arbitro delle contese regionali, anche nell’ottica di far valere il proprio peso e di restare il riferimento in Asia. Il bilanciamento con la Cina, ha chiaramente ripercussioni a livello globale e Washington vuole mettere un freno all’espansione cinese. È la distorsione del Pivot Asiatico, il ruolo centrale che Obama sperava di avere in Asia, che ora fa leva su una delle “dottrine presidenziali” di politica estera: il disimpegno. La decisione della Casa Bianca di utilizzare per la missione di monitoraggio una nave da guerra e non una più modesta nave per l’intelligence, indica invece che Washington è determinata a lanciare un segnale forte, impegnato, sulle controversie locali.

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