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Libia, cosa fa la ronda che sfida i trafficanti di uomini

La stampa americana (Margaret Coker sul Wall Street Journal e Kevin Sieff sul Washington Post) ha raccontato nelle scorse settimane la storia di una milizia, le “Maschere nere”, che ha dato la caccia ai trafficanti di esseri umani della città libica di Zuwara. Ed è riuscita a fermarli, per adesso, riducendo anche gli arrivi di migranti irregolari sulle coste italiane.

La milizia ha preso questo soprannome perché gli uomini che la compongono indossano dei passamontagna neri: ci sono insegnanti, ingegneri, burocrati, tra gli altri, guidati da alcuni ex militari dell’esercito libico. Trovare le armi per compiere le azioni di polizia, non è stato un problema: nel Paese, in crisi dopo la caduta del rais Muammar Gheddafi, gli arsenali sono stati presto aperti e il traffico di armamenti è diventato un valido business.

LA LIBIA TRA MIGRANTI E ISIS

Le Maschere nere sono parte della milizia di Zuwara, non troppo diversa dalle altre presenti in Libia: difendono il proprio territorio, si scontrano con le fazioni rivali, cercano di resistere alla diffusione dello Stato islamico (i seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi sono stati in grado di diffondere le proprie visioni in mezzo al caos sociale: qualche tempo fa alcuni gruppi armati avevano preso il controllo di un paio di villaggi a sud di Zuwara, ma la milizia li ha momentaneamente respinti). I gruppi combattenti si sono moltiplicati con la crisi del 2011, e rappresentano centri di interesse regionali, ma anche realtà tribali e locali. In questo momento il governo di Tobruk (riconosciuto dall’Occidente e il cui mandato è scaduto il 20 ottobre) e quello auto nominatosi di Tripoli, che raggruppano sotto il loro esecutivo molte di queste milizie, sono in una nuova fase di stallo delle trattative per trovare un’intesa per un esecutivo di unità nazionale (il mandato dell’inviato speciale delle Nazioni Unite Bernardino León, è scaduta anch’esso il 20 ottobre, ma le trattative proseguono).

ZUWARA E I MIGRANTI

La cittadina di Zuwara è un centro di partenza dei barconi (lo era già ai tempi di Gheddafi). Il traffico è redditizio, anche perché l’Italia (Lampedusa) e Malta, prime terre europee dalle coste libiche, si trovano a poche miglia. Un tempo dal porto di Zuwara partivano le spezie dirette ai mercati italiani, ora dallo stesso porto si trafficano esseri umani e droghe. Il portavoce delle milizie locali ha ammesso al WaPo che il suo gruppo era consapevole di quello che succedeva in città, solo che era concentrato su altro (azioni contro le altre milizie e contro l’Isis). Poi il 27 agosto, a largo della costa di Zuwara, è c’è stata un’ennesima tragedia nelle acque del Mediterraneo: un barcone si è rovesciato provocando la morte di 400 persone. Duecento cadaveri furono riportati al porto di Zuwara: era la prima volta che i corpi dei migranti venivano portati in città. Gli abitanti di Zuwara sapevano che tragedie del genere si stavano verificando al largo delle acque libiche, ma non avevano mai subito l’impatto diretto di quei corpi senza vita (che di solito vengono portati in Italia o a Malta).

LE UNITÀ E LE AZIONI

È stato da quel momento, dallo schiaffo sulla coscienza dato da quei corpi recuperati a pochi metri dalla proprie spiagge, che i cittadini di Zuwara hanno – secondo l’analisi – preso la decisione che non si sarebbero più potuti girare dall’altra parte: le Maschere nere si dovevano organizzare per combattere i trafficanti. E così sono iniziati pedinamenti e blitz, che grazie alla conoscenza del territorio e dei protagonisti, sono risultati subito molto incisivi.

C’è un’idea lineare dietro alla creazione dell’unità speciale, che parla di sicurezza e prospettive: tagliando la testa al traffico, non ci saranno più migranti e quelli già presenti in attesa della partenza riusciranno ad integrarsi (i migranti che in questi anni sono arrivati in Libia dalle regioni sub-sahariane, sono stati lentamente assorbiti nella realtà sociale, perché si sono adattati a compiere lavori umili).

I LEGAMI CON L’ITALIA

Zuwara si trova sulla costa libica occidentale, tra Tripoli e la Tunisia, ha radici storiche molto profonde (è stata il cuore della Barberia) e dista pochi chilometri dal Mellitah Oil and Gas Complex, l’hub libico dell’italiana Eni. Sono state queste le aree in cui furono sequestrati i tecnici dell’azienda italiana in luglio. La vicinanza al centro estrattivo, non è il solo legame tra la cittadina e l’Italia. A settembre fu diffusa la notizia, poi ampiamente smentita, dell’uccisione del boss locale del traffico di uomini. Secondo quanto detto dai media libici, e ripreso da alcune testate italiane, si sarebbe trattato di un blitz operato da un commando di forze speciali italiane. Ma in quell’occasione furono la Farnesina e persino lo stesso boss a smentire l’accaduto. Lui era vivo e vegeto e, alla base del blitz, ci sarebbe stato forse uno scambio di identità (circostanza che, per certi versi, denoterebbe per gli esperti la non professionalità del gruppo di “polizia locale”). Tuttavia le attività degli uomini mascherati, a distanza di un paio di mesi dall’inizio, sembrano portare buoni frutti: «Non ci sono più barche davanti a Zuwara», scrive il WaPo. Per adesso.

GLI ALTRI UOMINI MASCHERATI

La storia delle Maschere Nere di Zuwara non va confusa con quella raccontata pochi giorni fa in un report dell’organizzazione umanitaria Human Rights Watch. Secondo varie testimonianze raccolte da HRW, diverse barche e gommoni di migranti hanno subito attacchi da uomini mascherati. Gli abbordaggi sarebbero avvenuti nelle acque che separano la Grecia dalla Turchia (geograficamente molto distanti dalla Libia). Uomini armati e a volto coperto sarebbero (con un uniformi che ricordano quelle della guardia costiera greca, hanno detto alcuni dei testimoni) sono arrivati a bordo di grandi motoscafi e, una volta saliti a bordo, avrebbero rotto i motori dei barconi (e bucato i gommoni), per poi rubare il carburante alle imbarcazioni. In varie occasioni i migranti sono stati picchiati; alcune volte i gommoni sono stati forzatamente ricondotti verso le acque turche. Non ci sono indizi affidabili sull’identità di chi è dietro quei passamontagna.

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