Due attentati kamikaze hanno colpito il quartiere Burj el Barajneh della capitale del Libano provocando decine di morti e oltre duecento feriti (tra questi alcuni sono gravi, e dunque il bilancio delle vittime è destinato a salire). Gli attacchi sono stati rivendicati dallo Stato islamico.
Le esplosioni sono avvenute intorno alle 18 di giovedì, a pochi minuti l’una dall’altra: due kamikaze, secondo le dichiarazioni delle agenzie di stampa e delle forze di sicurezza, hanno attivato le loro cariche esplosive davanti ad un centro commerciale e nei pressi di una moschea sciita, in un momento in cui c’era alta affluenza (uno dei kamikaze potrebbe essere stato a bordo di una moto-bomba). Un terzo attentatore è morto nella detonazione degli altri due, mentre un quarto è stato arrestato prima di farsi esplodere.
Quello colpito è un quartiere residenziale e commerciale, collegato all’aeroporto, nel sud di Beirut: Burj el Barajneh è una roccaforte di Hezbollah, il partito/milizia libanese controlla le strade con checkpoint che tengono al sicuro gli uffici amministrativi e quelli dei canali media gestiti dal gruppo. Hezbollah, confessionalmente sciita, è da anni impegnato al fianco del regime del presidente Bashar el Assad ed è pesantemente coinvolto nel conflitto. Il Partito di Dio è legato alla causa di Damasco soprattutto come proxy iraniano: Teheran lo finanzia e lo arma, e ha chiesto ai libanesi di intervenire contro i ribelli per proteggere Assad. Sotto quest’ottica è inquadrabile l’azione dell’Isis, che avrebbe mirato a colpire quella parte della popolazione di Beirut più vicina agli Hez. A sud dell’area colpita c’è anche un campo profughi palestinese.
Il messaggio di rivendico dei baghadisti non chiama direttamente in causa Hezbollah, ma indica come bersagli tutti gli sciiti, i “rafideen” come vengono chiamati nella rivendicazione usando un termine dispregiativo sunnita: «vendicare l’onore del Profeta» è il motivo del gesto. Inevitabile che le evoluzioni che arrivano dal campo di battaglia facciano da scenario all’attentato. Negli ultimi giorni le forze governative siriane, aiutate dalle truppe iraniane e proprio dai miliziani di Hezbollah (e dalla protezione aerea russa), sono riuscite a rompere l’assedio alla base aerea Kweres a sudest di Aleppo. Kweres è un’aeroporto militare stretto d’assedio da anni, attorno a cui le forze che appoggiano il regime hanno concentrato il grosso dello sforzo dell’offensiva su Aleppo. Quella base contiene in sé un significato simbolico. Se fosse finita definitivamente nelle mani dell’Isis, con conseguenti video di esecuzioni e saccheggi di armamenti come avvenuto già in altre situazioni analoghe (una su tutte alla base cadetti di Tikrit), sarebbe stata una pessima pubblicità d’immagine per la colazione che difende Assad: praticamente avrebbe significato che niente era cambiato. Rotto l’assedio, gli uomini di Hezbollah hanno diffuso immagini trionfanti di festeggiamenti: a poche ore di distanza uno dei quartieri più noti di Beirut è stato colpito dallo Stato islamico.
Quello di giovedì è il secondo attentato rivendicato ufficialmente dall’Isis in Libano: il primo è stato il 2 gennaio del 2014, quando un’auto bomba è esplosa nel distretto Haret Hreik di Beirut. Dopo gli anni bui a cavallo dei Novanta, il terrorismo è tornato a colpire in Libano pesantemente nel 2013 (causando 190 vittime in totale e oltre mille feriti), e sono continuati lo scorso anno. Gli attacchi sono stati opera di vari gruppi combattenti sunniti, come rivendicazione per il coinvolgimento di Hezbollah in Siria.