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Berlusconi, Ruby e l’eco flebile degli inquirenti

Prima ancora di essere una questione di giustizia, mi sembra una questione di logica il nuovo processo che la Procura di Milano ha cercato di predisporre contro Silvio Berlusconi e una trentina di persone chiedendone il rinvio a giudizio con le imputazioni, secondo i casi, di corruzione o falsa testimonianza in riferimento all’affare giudiziario noto ormai come Ruby.

È una questione di logica nel senso che si stenta francamente a trovare la logica, appunto, nella conduzione e nelle conclusioni delle indagini che hanno a lungo e costosamente impegnato la Procura milanese, con tanto di intercettazioni, accessi a conti bancari e interrogatori. In alcuni dei quali non sono mancate le lacrime, se sono vere le cronache che hanno riferito del confronto della funzionaria della Questura di Milano Giorgia Iafrate con gli inquirenti, convintisi alla fine della possibilità di archiviarne la posizione. In gioco è stato il racconto del ruolo da lei svolto in quella maledetta notte di maggio del 2010 per affidare alla persona indicata telefonicamente dall’allora presidente del Consiglio Berlusconi, la consigliera regionale Nicole Minetti, la minorenne marocchina trattenuta dalla Polizia.

Tutto nasce, per il tentativo di un nuovo processo, dalla condanna dello stesso Berlusconi in primo grado a 7 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile. Concussione per avere indotto la Questura a rilasciare Ruby e prostituzione minorile per avere fatto sesso a pagamento con l’avvenente ragazza.

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Nel condannare l’imputato il collegio giudicante chiese il 24 giugno 2013 alla Procura di valutare se egli fosse perseguibile anche del reato di corruzione per avere indotto le cosiddette “olgettine” e altri testimoni a dire il falso sulle cene e i balletti ad Arcore, nel vano tentativo di aiutarlo ad evitare un verdetto sfavorevole.

Ma a quella sentenza di pesante condanna, superiore alle stesse richieste dell’accusa, seguì poco più di un anno dopo, il 18 luglio 2014, una di segno opposto in Corte d’Appello. I cui giudici, si deve ritenere non influenzati neppure loro da false testimonianze, assolsero Berlusconi dalla concussione perché “il fatto non sussite”, e dalla prostituzione minorile per non conoscere, all’epoca, l’età della marocchina.

Di fronte all’assoluzione di Berlusconi in appello apparve legittima e logica una domanda. Come si potevano ritenere false ed estorte le testimonianze rese a favore dell’imputato nel processo di primo grado? Altrettanto legittima e logica apparve l’ipotesi di una rinuncia, o sospensione del procedimento provocato dalle valutazioni del collegio giudicante di primo grado. Sembrava francamente più credibile la spiegazione data da Berlusconi alla sua provata e ammessa generosità nei riguardi delle già ricordate olgettine, travolte e danneggiate dal clamore e dalle accuse per la loro frequentazione di Arcore e dintorni.

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Alle domande e ai dubbi sulle perduranti indagini della Procura milanese, solerti estimatori degli inquirenti risposero più o meno sprezzantemente che la vicenda giudiziaria chiamata Ruby si doveva considerare ancora aperta. Gli ignoranti dubbiosi, e non gli inquirenti, avrebbero dovuto insomma attendere il terzo grado di giudizio, cui era prontamente e fiduciosamente ricorsa l’infaticabile e irremovibile accusa.

È accaduto però che la Corte di Cassazione in meno di un anno, esattamente il 12 marzo scorso, ha davvero chiuso l’affare giudiziario respingendo il ricorso e confermando l’assoluzione disposta in Appello. Per cui la logica è tornata a fare capolino nella testa di gente forse troppo comune e sprovveduta agli occhi degli specialisti della legalità, dell’obbligatorietà dell’azione penale ed altro ancora. Una logica che all’accusa sembrerà magari blasfema, o addirittura provocatoria, ma fa dubitare della consistenza di questo ennesimo processo che si sta cercando di fare a Berlusconi con nuove imputazioni. Un processo che, al di là delle stesse intenzioni di chi lo reclama, rischia di essere scambiato, a torto o ragione, come una ritorsione per la ripetuta assoluzione che gli avversari dell’odiato ex presidente del Consiglio non riescono a digerire.

E’ significativo, d’altronde, che giornali come Corriere della Sera, Stampa, 24 Ore, Unità, Avvenire, Giorno, Nazione, Resto del Carlino, Foglio e Manifesto una volta tanto insieme, non abbiano richiamato in prima pagina la nuova iniziativa della Procura di Milano, diversamente dalla solita Repubblica e dall’altrettanto solito Fatto quotidiano. Un segnale non proprio incoraggiante per gli inquirenti ambrosiani, abituati a ben altra eco al loro lavoro.

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