Mai visti e letti in una sola mattinata sulle prime pagine dei giornali tante notizie, quasi seriali, di una gestione della Giustizia a dir poco bizzarra.
Dal Ministero dell’Interno e dagli stessi uffici giudiziari di Bologna stanno venendo fuori particolari sempre più inquietanti sui numerosi elementi raccolti a carico dei quattro musulmani appena espulsi dall’Italia su ordine di Angelino Alfano, visto che nessun giudice aveva voluto disporne l’arresto.
I quattro proseliti del fanatismo islamico purtroppo anche terroristico disponevano di un manuale dei jiadisti in cui si spiega, fra l’altro, che ogni reclutato deve conoscere il reclutatore solo a vista, ignorandone le generalità. E il reclutatore, a sua volta, è tenuto a cambiare casa o recapito al primo fermo o arresto di un reclutato. Non pare un manuale da associazione benefica, sfogliabile da un magistrato con una levatina di spalle. Così pure non sembra possibile liquidare un manuale di tecnica guerrigliera come qualcosa di banale perché ricavata o ricavabile via internet. Dove si possono certamente trovare anche le indicazioni necessarie per creare un ordigno esplosivo, ma non per questo bisogna rimanere inattivi.
Da Bologna passiamo a Lucino Rodano, un paese di poco più di 6000 abitanti, dove il gioielliere Rodolfo Corazzo, per sua fortuna anche maestro di karatè e fornito di regolare porto d’armi, dopo essere stato sequestrato in casa con la moglie e la figlia di 10 anni da tre ladri che l’avevano aspettato al cancello per una rapina, ha dovuto ucciderne uno, rivelatosi poi un pregiudicato, mettendo in fuga gli altri due.
Il poveretto, angosciato da troppe cronache giudiziarie a dir poco allucinanti, è finito sotto interrogatori e indagini, per ora gravitanti attorno alla legittima difesa. Per ora, quando forse già gli spetterebbe una croce di guerra, visto ciò che abitualmente accade.
Da Lucino di Rodano passiamo ad Asti, dove ad alcuni zingari condannati per una serie di furti è stato, chissà perché e come, lasciato o addirittura restituito il bottino precedentemente sequestrato.
Da Asti passiamo a Milano, dove i casi strani sono due. Uno riguarda il padre separato di un bambino di sei anni al quale è stato impedito dal Comune, su segnalazione dell’assistente sociale, di fare battezzare il figliolo. Farebbe parte di questo divieto la cosiddetta “linitazione educativa dei genitori”.
L’altro caso strano riguarda l’ormai ex assessore lombardo alla sanità Mario Mantovani, di Forza Italia, trattenuto per un bel po’ in carcere e infine assegnato agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio, se vi sarà rinviato. Nel trasferirlo dal carcere a casa, sempre come detenuto, i magistrati hanno contestato a Mantovani la “pletora di politici” che sono andati a trovarlo fra le sbarre.
Se per pletora deve intendersi, come dice il dizionario della lingua italiana, una “abnome abbondanza”, si spera che non venga in mente mai a nessuno, in qualche ufficio giudiziario, di accusare un avvocato di frequentare, per esempio, “una pletora di magistrati”. Il cui diritto di esistere e di essere rispettati dovrebbe essere pari a quello dei politici. O no? O è già stabilito in sede giudiziaria che i politici sono ormai per natura evitabili?
Purtroppo si è appena saputo, grazie alle confidenze dell’interessato, che Renzo Arbore ebbe da giovane l’aspirazione a fare il magistrato, ma non riuscì perché non aveva studiato abbastanza. Peccato. Avremmo avuto un magistrato sicuramente di maggiore buon senso dei tanti in carriera: un buon senso arricchito peraltro di una sana ironia. Che nei tribunali italiani è solo involontaria, quando se ne scorge traccia.