Matteo Renzi ha sparlato di “scintilla pubblica”, ma Roberto Maroni vorrebbe un lanciafiamme, un falò, un fuoco perenne: “I soldi non bastano”, ha tuonato il governatore della Lombardia.
Per il dopo Expo è già cominciato l’assalto alla diligenza. La scelta è di trasformare la grande area in un polo tecnologico e il governo mette sul piatto un miliardo e mezzo in dieci anni, con un intervento diretto e/o della Cassa depositi e prestiti che a questo punto rischia di diventare una dépendance della Ragioneria generale dello Stato. Se va bene a Claudio Costamagna, a Renzi che l’ha messo lì, a Giuseppe Guzzetti che ci ha messo come fondazioni bancarie una quota del 18%, va bene a tutti? Non esattamente. I titolari dei libretti postali che alimentano la Cdp avrebbero anche loro qualcosa da dire.
Prima di far parlare Pantalone che paga, parla Arlecchino che i quattrini li prende. Così è cominciata già la rissa sui soldi e su chi li gestisce. I denari sono pubblici, così come sono pubblici quelli che hanno alimentato Expo 2015 e che favoriranno la fusione tra la società che gestiva l’evento e la società che possiede le aree, chiamata Arexpo. E mentre il governo frega l’acciarino per far far scoccare la scintilla, sarebbe bene sapere qualcosa sui conti dell’intera operazione.
I visitatori ci sono stati, 21 milioni hanno pagato i biglietti, un successo di folla, come si dice. Ma sono abbastanza per far quadrare il bilancio? Il sito di Expo pubblica le cifre e quelli di Forexinfo.it hanno fatto il conto della serva (per così dire). Ammettiamo che tutti i visitatori abbiano pagato 39 euro, gli incassi ammontano a 838,500 milioni. I soci pubblici hanno versato un miliardo 26 mila 952 euro a fine 2014. Ma a fine anno c’erano da ammortizzare spese per 676 milioni, 948 mila euro e rotti. Le perdite cumulate dal 2009 al 2014 ammontano a 83 milioni 108 mila euro e spiccioli.
“Visti questi dati – scrive Forexinfo.it – per poter affermare che questo Expo si è “ripagato da solo”, avrebbe dovuto chiudere il suo ultimo anno, ovvero il 2015, con un fatturato, non solo in grado di coprire tutti i costi del medesimo anno (più i contributi versati dagli azionisti nell’esercizio 2015) ma anche quasi 1,8 miliardi di euro dovuti alla sommatoria di 1.026.952.229 euro, 83.108.721 euro e 676.948.540 euro. E’ vero che mancano nel conto i quattrini degli sponsor, ma, a meno che non siano davvero tanti, l’azionista Pantalone (governo, comune di Milano, regione Lombardia) dovrà staccare un assegno.
Naturalmente al conto da ragionieri va aggiunto quello da economisti. La Bocconi aveva fatto uno studio sull’impatto complessivo di Expo molto ottimista per l’intero decennio: 61 mila posti di lavoro in più, 69 miliardi di incremento del prodotto, 29 miliardi di valori aggiunto, 11,5 miliardi di gettito fiscale (lo stato incassa non paga soltanto), nuove infrastrutture e quant’altro; insomma una ricaduta nettamente positiva. Ma per tirare le somme bisognerà attendere il 2020.
Intanto, Maroni bussa a cassa, anzi alla Cassa. E si mette di traverso anche sulla governance del futuro parco tecnologico. Non gli va, per esempio, che venga coinvolto l’Istituto italiano tecnologico di Genova, “prestigioso, ma piccoli”, dice a Radio anch’io e rilancia: “O ci sono le eccellenze lombarde o non approvo il piano”. Poi qualcuno di cui si fida gli ha spiegato che non ci sarà nessun esproprio genovese e (correttamente) ha ritrattato: “Avevo capito male”. Succede, ma la confusione regna ancora sovrana e nessuno ha chiaro né i costi e i ricavi di Expo né come sarà finanziato e gestito il dopo. Del doman non v’è certezza. Non resta che aspettare.
Stefano Cingolani