Ai margini, ma non tanto, del lungo viaggio ufficiale del presidente della Repubblica in Asia gli amici di Matteo Renzi hanno vissuto ore di sgomento, se non di panico. È accaduto quando hanno visto in televisione, o ne sono stati informati, della presenza di Enrico Letta accanto a Sergio Mattarella.
Che ci faceva in Asia con il capo dello Stato l’ex presidente del Consiglio, ormai anche ex deputato, impegnato a fare il professore fra Parigi e Roma? Si sono chiesti gli amici di Renzi, che non perdonano a Letta jr, in quanto nipote del più navigato Gianni, di non avere a sua volta perdonato al segretario del Pd di avergli sfilato Palazzo Chigi l’anno scorso, sia pure con un regolare consenso della direzione del partito e l’avallo, al Quirinale, di un presidente esigente con le regole delle buone maniere istituzionali come Giorgio Napolitano. Il quale si era reso conto dei cambiamenti intervenuti nei rapporti di forza nel partito di maggioranza, con tanto di primarie e di congresso, preferendo prenderne atto, piuttosto che mettersi di traverso. Forse informato, peraltro, dei preparativi del cosiddetto Patto del Nazareno fra lo stesso Renzi e Silvio Berlusconi, sui cui contenuti si continua ancora oggi a litigare. L’ultima controversia è sulla modifica, attesa da Berlusconi, di una modifica della cosiddetta legge Severino, che lo aveva fatto decadere da senatore.
L’agitazione dei renziani per le immagini asiatiche di Mattarella ed Enrico Letta insieme derivava anche dal fatto che di prima mattina di martedì 10 novembre si era consumato sulle agenzie un ennesimo scontro velenoso a distanza fra il presidente del Consiglio e il suo predecessore. A provocare la polemica era stata la difesa opposta da Renzi alle accuse di avere voluto una troppo dispendiosa acquisizione in leasing di un nuovo aereo per i voli di servizio del capo del governo, con un costo annuo fra i 20 e i 50 milioni di euro.
Poiché Renzi si era richiamato ad una pratica avviata dal suo predecessore con la disposizione di vendere tre vecchi aerei della flotta di Palazzo Chigi, Letta jr aveva voluto precisare con un tweet non solo la sua estraneità alla vicenda, ma anche il proprio dissenso dalle scelte del suo successore, refrattario, diversamente da lui, all’uso dei meno costosi voli di linea per i suoi spostamenti. Sale sulle ferite dei renziani.
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Accorsi a smanettare computer e telefonini per venire a capo del mistero delle immagini di Mattarella e Letta jr giunte dall’Asia, in particolare da Giacarta, dove i due avevano anche cenato insieme, i renziani si sono sentiti un po’ sollevati dal sospetto di relazioni pericolose per la sopravvivenza del governo quando hanno appreso che l’ex presidente del Consiglio era accorso in Indonesia in qualità di presidente appena nominato al vertice della nuova associazione Italia-Asean, organizzazione no-profit che si propone di facilitare i rapporti economici e politici con dieci Paesi del sud-est asiatico che contano complessivamente 630 milioni di cittadini. Associazione il cui segretario generale e operativo è un indonesiano, interessato a nuovi rapporti anche con l’Unione Europea e presentato personalmente da Letta jr a Mattarella.
Dire però che tutti i renziani siano rimasti davvero sereni – per ripetere l’ormai famoso aggettivo usato da Renzi per tranquillizzare proprio Letta jr prima di subentrargli – sarebbe troppo. Ad almeno alcuni degli amici di Renzi non è ancora andata giù l’allusiva dichiarazione fatta dall’ex presidente annunciando le sue dimissioni da deputato, chiaramente polemiche verso il suo successore: di avere anticipato la sua decisione solo a Mattarella in un incontro dal quale egli era riuscito “rinfrancato”. Rinfrancato – si chiesero amici di Renzi – anche rispetto al proposito attribuitogli da qualche giornale di volere preparare il percorso di una rivincita, magari candidandosi alla segreteria del partito al congresso ordinario del 2017?
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Fra i sospetti o le delusioni dei renziani più diffidenti nei riguardi di un capo dello Stato che pure hanno voluto così fortemente da rinunciare al Patto del Nazareno con Berlusconi, con tutte le complicazioni che ne sono derivate, c’è la presenza al Quirinale, fra i collaboratori della segreteria di Mattarella, del giornalista Claudio Sardo. Che nel 2013, da direttore dell’Unità, seguì così polemicamente la scalata di Renzi alla segreteria del partito da rimetterci il posto, prima ancora che l’allora sindaco di Firenze vincesse formalmente il congresso.
Sardo, peraltro già segretario dell’Associazione della Stampa Parlamentare e notista politico del Messaggero, venne sostituito il 23 ottobre di quell’anno dal suo vice Luca Landò, rimanendo fra gli editorialisti dell’Unità per qualche mese, sino alla chiusura della storica testata fondata da Antonio Gramsci per dissesto finanziario. E alla conseguente scomparsa dalle edicole, dove il quotidiano è tornato solo il 30 giugno scorso, con il tradizionale colore rosso ma in versione e linea renzianissima. Esso di sicuro non manca nelle rassegne stampa del Quirinale, ma probabilmente non piacerà all’ex direttore ora impegnato con profitto in ricerche e studi per il presidente della Repubblica. Che ne risulta particolarmente soddisfatto, ripagandolo almeno in parte delle amarezze procurategli da un segretario di partito che non poteva, d’altronde, perdonargli di averne paragonato lo stile addirittura al fascismo, o a qualcosa che gli assomigliava.