La procura di Parigi ha confermato che la mente delle stragi nella capitale francese, Abdelhamid Abaaoud, è stato identificato ufficialmente tra i jihadisti morti nel raid a Saint-Denis. Alle 4:30 di mercoledì mattina, è scattata una massiccia operazione di polizia che ha messo sottosopra il quartiere settentrionale di Parigi che ospita lo Stade de France, uno degli obiettivi degli attacchi di venerdì 13 novembre. I media presenti dicono che si è trattato di un’operazione di anti terrorismo condotta dalla Raid, le forze specializzate della polizia: l’obiettivo era la cattura di Salah Abdeslam, ricercato da domenica sera perché considerato l’unico degli jihadisti che hanno partecipato all’attacco ancora in vita (credono sia il bombarolo, rimasto vivo perché utile per confezionare ordigni per altri attentati. Salah era dato per morto nel blitz, ma pare sia stato avvistato a Bruxelles.
CHI È ABDEL HAMID ABAAOUD
Il giornalista della radio francese Rfi David Thomson, per anni corrispondente dalla Tunisia e dalla Libia, ha definito Abaaoud “il volto più conosciuto del jihadismo francese degli ultimi due anni”. Era proprio il ventisettenne belga, conosciuto con il nome de guerre di Abu Omar al Baljiki, a prestare il proprio volto, nel marzo dello scorso anno, ad un video di propaganda girato in Siria, in cui si invitavano i ragazzi francesi a compiere la loro hijra, la migrazione, per unirsi alla jihad in Siria e Iraq ed andare a vivere nel sedicente Califfato.
Il belga di origine marocchina si era trasferito in Siria nel 2013. Secondo le informazioni raccolte viveva a Raqqa, la “capitale” dello Stato islamico, ed era un personaggio che godeva di una certa notorietà. Nel settimo numero, uscito a febbraio, la pubblicazione mensile dell’Isis, la rivista Dabiq, c’è una sua intervista lunga tre pagine. Abaaoud si vanta di essere seguito dall’intelligence internazionale, ma di essergli già sfuggito una volta, ed era coperto per questo di una certa “invincibilità”, con la fuga descritta come “un dono di Allah”: Dabiq è una rivista propagandistica. La vicenda si lega allo smantellamento della cellula belga di Verviers, avvenuto a gennaio ad opera della polizia di Bruxelles (l’idea degli attentatori era colpire le edicole che vendevano la prima edizione di Charlie Hebdo dopo l’attacco alla redazione avvenuto giorni prima). In quell’occasione Abaaoud era presente, sembra, ma riuscì a scappare e ritornare in Siria.
I PRECEDENTI
Abaaoud raccontò alla rivista del Califfato che c’era voluto tempo per entrare in Europa, ma “una volta là siamo stati in grado di armare e programmare operazioni contro i crociati”. Un funzionario dell’intelligence francese, ha detto alla Reuters che Abaaoud sarebbe il cervello dietro a varie operazioni in Europa, come per esempio, il tentato attacco al treno Thalys Parigi-Amsterdam, sventato in agosto grazie alla prontezza di tre marine americani che si trovavano a viaggiare casualmente nello stesso vagone del potenziale attentatore. È stato sempre Abaaoud a fare da ispiratore e pianificatore al tentativo fallito di attaccare i fedeli durante una funzione religiosa a Villejuif, fuori Parigi. In entrambi questi casi, l’autore materiale è stato o sfortunato o goffo. Questo, forse, rilevano alcuni osservatori, ha portato le autorità a sottovalutarne il pericolo.
LA CACCIA ALL’UOMO
Martedì diversi funzionari dei servizi segreti francesi e americani hanno dichiarato di ritenere che Abaaoud fosse scappato di nuovo in Siria.
Secondo alcune fonti del New York Times, Abaaoud era stato inserito da diverso tempo tra i target degli attacchi mirati che la Francia sta conducendo in Siria. Seguito dall’intelligence, però, è sempre riuscito a salvarsi dai bombardamenti. Sotto quest’ottica, appare più facile comprendere perché il presidente transalpino François Hollande inquadri i raid aerei sul territorio siriano come una necessità per salvaguardare la sicurezza nazionale.
IL BELGIO
“Secondo l’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (Icsr), il Belgio ha circa 30 jihadisti attivi ogni milione di abitanti. Circa 330 combattenti si sono arruolati nello Stato islamico. Date le piccole dimensioni del Paese, è quello che in proporzione ha prodotto più estremisti islamici in Europa”, ha spiegato Formiche.net.
Abu Omar al Baljiki, prima di prendere questo kunya e partire per la jihad, era un ragazzo della classe medio-bassa di Molenbeek, quartiere di Bruxelles, incline a piccoli reati come il furto e lo spaccio: colpe che adesso, nel Califfato, vengono punite con pesanti pene corporali (questo passato di piccoli crimini accomuna anche altri jihadisti europei, come per esempio i fratelli che attaccarono Charlie Hebdo). Suo padre era proprietario di un negozio di abbigliamento nella piazza principale del Paese. Vivevano in una casa umile del sobborgo; la famiglia dice che Abdelhamid non ha aveva mostrato eccessivo zelo religioso. All’inizio di quest’anno, però, Paris Match l’ha rintracciato in un video del Califfato in cui trasportava cadaveri, sorridente, ringraziando Allah.
Il suo nome si lega alle frequentazioni del bar di Molenbeek gestito da uno degli attentatori di Parigi, Ibrahim Abdeslam, il fratello di Salah, tuttora ricercato (Abaaoud e Ibrahim Abdeslam sono stati entrambi incarcerati in Belgio nel 2010 per rapina a mano armata).
Quando Abaauod è tornato in Europa, i primi ad essere stati allertati sono stati i servizi belgi, perché hanno intercettato una chiamata fatta dal mujahideen ad un jihadista arrestato in Belgio: la telefonata proveniva da una cella di comunicazioni ad Atene. Era la fine dello scorso anno. La retata, descritta dalla polizia di Bruxelles come “una grande operazione anti terrorismo” a Verviers, era stata in realtà pensata principalmente per arrestare Abaaoud, ma il principale obiettivo fu mancato.
MODUS OPERANDI
Abaaoud era sospettato di essere un leader di un ramo dello Stato islamico chiamato “Katibat al Battar al Libi”, che ha origini in Libia. Questo ramo particolare ha attirato molti combattenti belgi a causa di legami linguistici e culturali, ha spiegato sul suo blog il ricercatore Pieter van Ostaeyen, che tiene traccia dei militanti belgi tra le linee dell’Isis. Molti dei musulmani in Belgio sono infatti di origine marocchina e sono accomunati da un dialetto che si parla nella parte orientale del Marocco. Secondo messaggi su Twitter e altri account di social media, pure i due uomini che sono stati uccisi durante il raid a Verviers nel mese di gennaio, dove era presente anche Abaaoud, erano membri di al Battar Katibat.
Ad agosto la polizia francese ha fermato un uomo di rientro dalla Siria, Rede Hame. Messo sotto pressione dagli interrogatori, Hame ha confessato di aver ricevuto l’incarico di colpire a Parigi direttamente da uomini presenti sul territorio siriano. Gli avevano chiesto di scegliere un luogo affollato, dove il colpo avrebbe avuto un effetto sicuro, un obiettivo facile; gli avevano dato duemila euro come finanziamento per la “missione”; gli avevano suggerito di rientrare da Praga per aggirare i controlli (quello che il generale Luciano Piacentini ha definito “terrorismo di scambio”); gli avevano fornito addestramento, un corso rapido, di circa sei giorni, giusto per imparare a maneggiare un’arma (che avrebbe trovato sul posto). Secondo la confessione di Hame, ad occuparsi dell’intera pianificazione sarebbe stato proprio Abaaoud.
L’IMPORTANZA DI AL BALJIKI
Si ritiene che l’unità di cui faceva parte sia una delle principali utilizzate per l’organizzazione di attacchi all’estero attraverso cellule dormienti e l’esportazione del messaggio del Califfo tramite la propaganda.
La storia di Abaauod spiega che l’uomo non era semplicemente un foreign fighter europeo, un ragazzo giovane (come tutti gli altri del sanguinoso venerdì di Parigi) partito infatuato dal fascino perverso della jihad, ma aveva un ruolo pensante.
Le sue “gesta” ci pongono anche davanti un nuovo scenario: anche chi fa l’azione singola non è un semplice lupo solitario, ma spesso riceve delle istruzioni su come e dove agire, come nel caso di Rede Hame.