A dispetto di tutte le volte che preghiamo il Padre nostro di non indurci, o di non farci indurre in tentazione, come io preferisco dire dandomi personalmente fastidio l’idea che a indurmi in tentazione possa essere anche Lui, e non solo il diavolo, mi capita sempre più spesso di cadervi. Sospetto sempre di più, per esempio, che le cose siano diverse da come ce le raccontano. Anche quando a raccontarle sono persone generalmente considerate attendibilissime.
Questa, in fondo, è la filosofia con la quale, confortato – mi disse una volta – dalla lettura addirittura di Sant’Agostino, l’astuto Giulio Andreotti tollerava che si pensasse male, non immaginando, poveretto, che di quella tolleranza avrebbero abusato tantissimo gli avversari contro di lui, nei tribunali e fuori. A pensare male si fa peccato ma spesso s’indovina, diceva “il divo Giulio” professandosi con ciò ottimista, perché un pessimista avrebbe preferito “sempre” a spesso.
Nel sentire il Papa, come sarà capitato a moltissimi di voi, gridare in Africa contro “lo zucchero” insidioso della corruzione aggiungendo che se ne mangia troppo anche nel suo Vaticano, mi sono francamente chiesto se, prima di partire da Roma, il Santo Padre ci fosse o ci facesse a spingere tanto sul processo per il cosiddetto Vatileaks. Soprattutto sulla inclusione, fra gli imputati, dei due giornalisti italiani Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che hanno ricavato i loro libri, rispettivamente “Via Crucis” e “Avarizia”, dai documenti acquisiti nelle loro inchieste sulla corruzione praticata anche oltre Tevere. Documenti che Giuliano Ferrara ha voluto un po’ troppo frettolosamente e rozzamente liquidare, secondo me, come “buste piene di cacca”.
(LA PRIMA UDIENZA DI VATILEAKS 2, TUTTE LE FOTO)
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Editori e autori di “Via Crucis” e “Avarizia” non potevano contare su un lancio migliore di quel processo oltre le Mura così clamoroso, e disciplinato – debbo aggiungere – da regole talmente anomale, almeno per le nostre abitudini nazionali, da fare il miracolo di rivalutare addirittura la giustizia di rito italiano.
Tutto si può pensare e dire di Papa Francesco, divertirsi anche a chiamarlo “Ciccio primo” o “primero”, come fa spesso sul Foglio quel simpatico corsivista impenitente che è Andrea Marcenaro, o storcere il naso, come mi è capitato di fare, per l’abituale e non proprio riservata frequentazione fisica e telefonica con Eugenio Scalfari, che ne riferisce ai lettori con una libertà che ha spesso imbarazzato il portavoce pontificio e le gerarchie; tutto, dicevo, si può dire e pensare di Papa Francesco, ma non che sia uno sprovveduto. Specie se si considera la sua provenienza da quella grande scuola che è l’Ordine dei Gesuiti, fondato da Ignazio di Loyola.
Quei due libri, a dispetto delle reazioni scandalizzate di tanti dichiarati ammiratori, e non solo fedeli del Pontefice, sono di una comodità o utilità infinita per Francesco. Ne moltiplicano non solo la voglia ma anche la forza di cambiare ciò che ha trovato o ha scoperto nei palazzi apostolici e dintorni. Ne valorizzano ancora di più le riforme avviate e quelle ancora in progettazione, sorprendendo per fortuna quell’incredibile arcivescovo, addirittura, sorpreso a pregare la Madonna di ripetere il presunto miracolo della morte prematura di Papa Luciani, Giovanni Paolo, aiutato a passare alla storia dal successore polacco Woityla. Che ne volle felicemente prendere il nome diventando il secondo di una serie destinata forse, e augurabilmente, a non estinguersi nella lunga storia della Chiesa Apostolica Romana. Lunga, per quanti sforzi vorranno o potranno fare i suoi nemici islamisti di distruggerla.
(NEGRI, IL MONSIGNORE DI CL VISTO DA PIZZI. TUTTE LE FOTO)
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Se Umberto Bossi fosse ancora quello della fine del 1994, reduce dalla clamorosa rottura con Silvio Berlusconi, quando iscriveva d’ufficio al “libro paga” di Villa San Martino, ad Arcore, tutti i leghisti dubbiosi della sua svolta, accuserebbe adesso i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi di essere al soldo del Papa. Al soldo per i servizi che stanno rendendo alla sua ramazza, tanto per rimanere alle immagini della Lega, visto l’uso che si fece delle scope ad un raduno improvvisato a Bergamo da Roberto Maroni ed amici per pensionare l’ormai ingombrante “senatur”, ammaccato dai pasticci dei figli e del tesoriere.
Già sono circolate, d’altronde, voci raccolte da qualche giornale dell’intenzione del Papa, per togliere d’impaccio le autorità italiane, di graziare immediatamente Nuzzi e Fittipaldi se venissero condannati in Vaticano con gli altri due imputati.
Finirà che, smaltito il loro benedetto processo, ci troveremo prima o dopo i due colleghi alla direzione e vice direzione dell’Osservatore Romano. A costo di procurare un infarto al povero ciellino Luigi Amicone. Che, rosso in viso come un peperone, lo ha già rischiato qualche giorno fa in un durissimo scontro televisivo con Nuzzi.
(TUTTI I CIELLINI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI RENATO FARINA. FOTO DI PIZZI)