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Liberalizziamo le Siae di tutt’Europa?

E due. Dopo Taylor Swift, anche la cantante Adele fa la voce grossa e non concede lo streaming dei suoi brani su Spotify. Le ragioni sono semplici: l’artista oggi è un imprenditore e vuol decidere autonomamente come vendere la propria arte. O meglio, sceglie di esserlo. In Italia, lo hanno già deciso, da tempo, artisti come Jovanotti, Ligabue, Celentano e tanti altri. Molti di loro hanno una propria etichetta, fanno merchandising, organizzano concerti, insomma sono organizzati come una qualsiasi impresa. Ogni artista lo fa naturalmente, a modo suo, nel rispetto della propria identità e autonomia artistica, alcuni mettono persino a disposizione brani da scaricare gratuitamente sul web. Questo non vuol dire che l’industria non avrà più alcun ruolo, ma semplicemente che i rapporti di forza stanno progressivamente cambiando, grazie al digitale e al web. E – per fortuna – si sta rafforzando il ruolo dell’artista, che sia esso un musicista o un attore.

Le case discografiche e le produzioni in generale non saranno più un passaggio obbligato per gli artisti ma una scelta consapevole, temporanea e mutevole. Questo scenario l’ha colto al volo l’onnipresente Google che, attraverso il suo fondo di venture capital, ha appena messo sul piatto 60 milioni di dollari per la società Kobalt che gestisce diritti musicali di numerosi artisti internazionali. La missione di Kobalt è portare trasparenza e fiducia nei processi di pagamento per i musicisti e i titolari dei diritti. Che, detto in altri termini, vuol dire più soldi agli artisti e più velocemente. Questo cambiamento non riguarda solo le parti di un contratto (artista e produttore), ma riguarda, ancor di più, tutte quelle realtà che oggi svolgono la funzione di intermediazione collettiva per conto di migliaia di autori o artisti interpreti.

Mi riferisco “alle SIAE” di tutta Europa, monopoli legali o naturali, ancorati a un modello di intermediazione costoso e tecnologicamente inadeguato. Lo stesso vale per le società di collecting che invece si occupano di intermediare i diritti degli artisti e interpreti, quelli che in gergo tecnico si chiamano diritti connessi al diritto d’autore (il compenso che spetta per lo sfruttamento delle repliche). Un mercato che sta avendo delle evoluzioni rapidissime, sia in termini di volumi che di nuovi protagonisti. Quello dei diritti connessi vale in Italia oltre 150 milioni di euro l’anno – valore destinato a crescere rapidamente – e che invece da noi ne raccoglie meno di un terzo per incapacità e inadeguatezza del vecchio monopolio completamento catturato dagli utilizzatori (Radio e tv).

I palinsesti del settore del video saranno sempre più zeppi di ritrasmissioni; quale che sia il canale utilizzato (satellite, cavo o web). Negli altri Paesi europei i volumi di raccolta sono più elevati e i modelli organizzativi sono più efficienti, ma fino ad un certo punto. Per fortuna, l’Italia ha fatto da battistrada nel settore. Ha completamente liberalizzato l’attività d’intermediazione dei diritti connessi e, con buona pace “dell’establishment culturale” di questo Paese, ha abbandonato il modello monopolistico che veniva ipocritamente venduto agli artisti come necessario perché preservava il carattere “mutualistico-assistenziale”. I risultati della liberalizzazione sono sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che vogliono vederli. Oggi abbiamo alcune realtà che hanno cominciato a intermediare con modelli completamente diversi.

Mi riferisco ad Artisti 7607, fondata tra gli altri da Elio Germano, Claudio Santamaria, Neri Marcorè e a ITSRIGHT per la musica – fondata da un ex discografico è che oggi conta più di 3000 artisti. Realtà che oggi rappresentano migliaia di artisti che vogliono contare di più e soprattutto che hanno la possibilità di poter concretamente partecipare alla gestione delll’attività d’intermediazione. Il veterinario-sindacalismo ha lasciato il posto alla libera impresa – che sia con o senza profitto – l’importante è che sia libera: di scegliere e di organizzarsi. Gli artisti italiani hanno capito che se vuoi negoziare bene con chi sfrutta le tue opere è meglio che lo fai direttamente o tramite un’organizzazione di cui ti fidi. Se SKY, Mediaset o LA7 trasmettono “ a palla” i tuoi film devi andar lì a batter cassa, non puoi aspettare che una “SIAE” di turno lo faccia per te. Lo fa Adele con Spotify, lo fa Elio Germano con la RAI.

Francesco Schlitzer, autore del volume Imbizzarriti, che racconta le conseguenze positive che la liberalizzazione ha prodotto sul lavoro degli artisti che hanno aderito ad Artisti 7607.


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