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Guerra a Isis? Armiamoci e partite

Dopo una settimana di maratone diplomatiche, di solenni cerimonie, di discorsi, baci, abbracci, cazzotti e missili (come tra Turchia e Russia) che cosa resta della grande coalizione contro il terrorismo islamico? Resta una vignetta, davvero efficace: un François Hollande in divisa della legione straniera, baionetta in canna che si lancia all’attacco mentre in cielo volano i jet e da dietro le trincee lo salutano Angela Merkel, Barack Obama, David Cameron e tutti gli altri ai quali il presidente francese ha chiesto aiuto.

Questa è la verità, non quella che con stile sportivo-militaresco ci hanno propinato molti giornali italiani. Non c’è nessuna grande coalizione e anche quella piccola, divisa e contraddittoria, si è sfasciata quando i turchi hanno abbattuto l’aereo russo al confine con la Siria. Al massimo si può parlare di coordinamento, anche se bisogna vedere in concreto se i centri di spionaggio dei vari paesi si scambieranno davvero le informazioni. Finora non è successo nemmeno tra Belgio e Francia.

Angela Merkel non va alla guerra, al contrario di quel che si è letto (per la verità solo in Italia). Anzi, la Cancelliera rifiuta di chiamare guerra la campagna contro l’Isis, si tratta di lotta al terrorismo, una sorta di operazione di polizia internazionale rafforzata. I suoi sei Tornado scatteranno fotografie dall’alto non sganceranno bombe, esattamente come stanno facendo i quattro Tornado italiani nel nord Iraq. E’ vero, invierà 650 militari in Mali per alleggerire il peso dei francesi, ma anche qui si tratta di peace keeping, tutt’al più di peace enforcing, perché la Germania ha deciso di non combattere all’estero dopo le esperienze non felici in Kosovo e in Afghanistan. E Cameron? Lui parla di intervento, ma attende un voto dal parlamento e Westminster ha già bocciato due volte l’ipotesi di infilarsi nel ginepraio siriano. Gli Stati Uniti si sa non vogliono mettere gli scarponi sulla sabbia.

Quanto all’Italia il suo posto è nelle retro-retrovie, ma davvero parecchio indietro, per indisponibilità militare (seimila soldati in giro per il mondo sono già un overstretching per le forze armate), per confusione politica (non esiste unità nazionale attorno alla guerra al terrore che la maggior parte, con Matteo Renzi in testa, non chiama guerra), per paura di turbare un già turbolento giubileo. Così il governo propone di mettere dei fiori nei loro cannoni, di rispondere al moschetto con il libro, e, pensate un po’, di porre sotto sorveglianza le playstation e “taggare i terroristi”, varianti giovanilistiche della guerra cibernetica.

Questo è lo stato dell’arte, lo può riconoscere chiunque voglia osservare con realismo e razionalità la situazione, senza lasciarsi incantare dalla propaganda che come si sa è uno degli strumenti fondamentali di ogni conflitto. Dunque, Parigi è sola. La Francia va alla guerra senza solide retrovie e il povero Hollande rischia di fare la fine di un piccolo Napoleone.

Se è così, l’Isis ha vinto questa battaglia. Per il momento sia chiaro e non vincerà la guerra, ma perché ciò avvenga molte cose debbono cambiare. Tutti quelli che hanno esaltato Putin come deus ex machina (e in Italia sono davvero tanti) non possono non essere delusi dagli scarsi risultati sul terreno e dalla drammatica confusione prodotta dal coinvolgimento diretto della Russia. Chi spera che Bashar Assad diventi l’elemento stabilizzatore appoggiato da Mosca e, bon gré mal gré, accettato dalla Francia (e anche questi sono tanti in Italia) non si rende conto dei rapporti di forza fino a questo momento sfavorevoli al dittatore siriano e favorevoli agli oppositori jihadisti.

Una vera coalizione militare deve ancora prendere forma, forse esiste solo nelle menti e nei desideri dei francesi. Ormai sembra sempre più chiaro che bisogna attendere il nuovo presidente americano (e a questo punto speriamo che sia Hillary Clinton, l’unica tra i candidati a conoscere la carta geografica del Mediterraneo e del Medio Oriente). Quel che possiamo fare nel prossimo anno è contenere il Califfato. E sarebbe già un buon risultato.


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