Qualcosa si sta muovendo, e anche molto velocemente, per la definizione di nuove regole della contrattazione. Il fallimento del confronto con la Confindustria non ha chiuso il discorso. Al contrario le confederazioni sindacali hanno deciso di provare ancora a mettere in piedi una loro proposta da presentare poi agli imprenditori. E i segretari confederali incaricati di portare avanti questo discorso hanno cominciato subito a darsi da fare molto concretamente. Un primo incontro mercoledì scorso, come ha riferito Il diario del lavoro, è stato molto positivo e subito ne sono stati fissati altri due per la metà delle prossime due settimane. L’obiettivo chiaramente è quello di arrivare a un’intesa all’interno del sindacato entro la fine dell’anno e se possibile in gennaio avviare il confronto con la controparte imprenditoriale. Il metodo seguito in queste prime riunioni è il più classico, quello di partire dalle cose che vedono più vicine le confederazioni, dove quindi il confronto è più facile, per arrivare gradualmente ai temi più spinosi. Il più duro sarà quello attinente agli aumenti salariali, perché le confederazioni hanno idee abbastanza diverse soprattutto sul metodo che dovrebbe essere seguito per calcolare gli aumenti delle retribuzioni contrattuali. In questi giorni si sta cercando di scrivere un documento sul quale poi lavorare fattivamente e, appunto, concretamente.
L’obiettivo, naturalmente, è quello di impedire che il governo metta mano a queste regole della contrattazione. In linea di massima tutti sono più o meno convinti che una legge di sostegno sulla rappresentanza non causerebbe molti problemi, purché sia appunto una legge di sostegno, che parta cioè dalle indicazioni del Testo Unico del gennaio del 2014 e le estenda erga omnes. Diverso il caso invece in cui l’esecutivo decida di intervenire sulla contrattazione, terreno di esclusiva competenza delle parti sociali che reagirebbero in maniera molto negativa se fosse il governo a dire come devono procedere le contrattazioni. Anche solo il provvedimento sul salario minimo legale è visto malissimo, perché tutti, sindacalisti e imprenditori, pensano che sarebbe la fine del contratto nazionale e porterebbe un abbassamento delle retribuzioni più di quanto non abbiano fatto i voucher. Di qui la fretta nell’anticipare qualsiasi decisione del governo che del resto aveva promesso un suo intervento in materia solo nel caso in cui le parti sociali non fossero in grado di esprimere in autonomia queste regole.
E sempre in quest’ottica deve essere interpretato il significato della firma, avvenuta giovedì mattina, di un protocollo sulla rappresentanza da parte di Confcommercio, Cgil, Cisl e Uil. In pratica sono state estese al terziario le regole del testo Unico, con delle differenze per adattare quelle norme a un settore particolare come il commercio. In particolare, sono stati aggiunti altri due parametri validi per determinare la rappresentatività oltre al numero delle tessere e dei risultati delle votazioni per la costituzione delle Rsu: il numero delle vertenze individuali, plurime e collettive di lavoro esperite e le pratiche svolte per la disoccupazione. Un accordo, come hanno dichiarato esplicitamente le parti presentandolo alla stampa, che vuole stoppare il governo. Abbiamo dimostrato, ha detto Carlo Sangalli, il presidente di Confcommercio, che le parti sociali sono “vive e attive”: aperta polemica con i tanti attacchi dell’esecutivo contro i corpi intermedi.
Insomma, il tentativo è partito e le parti che lo stanno portando avanti sembrano abbastanza convinte. Più difficile predire se i sindacati riusciranno a trovare un accordo, prima tra di loro, poi con le controparti imprenditoriali.
(estratto di un’analisi più ampia tratta dal Diario del Lavoro)