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Il viaggio di Papa Francesco nella povertà

È iniziato ieri l’importante viaggio di Papa Francesco in Africa: l’ultimo appuntamento internazionale prima dell’inizio del Giubileo della misericordia e al contempo il primo che ne segna l’inizio.

Come trapelato nei mezzi di informazione Bergoglio deve affrontare dei rischi calcolati di amplissima portata, cui si aggiungono quelli imprevedibili che derivano dallo scarso controllo della sicurezza, effetto delle instabili condizioni politiche del continente.

Le tappe saranno, dopo il Kenya, dove attualmente si trova il Santo Padre, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana, di cui avremo modo di parlare diffusamente nei prossimi giorni. A Nairobi, in questa prima intensa giornata, Francesco ha avuto due occasioni importanti per comunicare il significato della sua presenza, nonché il suo pensiero sulla povertà e in materia di rapporti interreligiosi.

Parlando nel Salone della Nunziatura Apostolica, davanti ai rappresentanti delle altre confessioni, il suo discorso è andato subito al nocciolo del problema. Il dialogo ecumenico non è semplice, non è accessorio, né secondario; corrisponde all’essenza stessa della missione che hanno le diverse religioni sfidate, oppresse e strumentalizzate dalle lacerazioni e dalle guerre diffuse in tutto il mondo.

Le credenze influenzano, infatti, il modo in cui si interpreta la realtà, dando luci nuove e mostrando aspetti profondi che altrimenti restano nascosti. Perciò non è mai possibile dividere religione, democrazia e pluralismo senza perdere di vista il valore autentico della solidarietà e della convivenza tra le diverse tradizioni spirituali. E non è accettabile una trasformazione del loro ruolo eterno in strumento di potere.

La condivisione interreligiosa nasce e si sviluppa a stretto contatto con il fine generale che viene assolto con la formazione comune delle coscienze e l’educazione di giovani che sappiano cogliere, ciascuno dal proprio punto di vista, l’importanza suprema della persona nella società civile, per giungere, con l’onestà e l’integrità, ad una corretta percezione dei valori.

Si comprende pertanto perché aspetti della vita apparentemente lontani e distanti, come religione, politica e ambiente, siano invece tutti collegati alla coscienza della forza che ha la spiritualità nel difendere ogni uomo e ogni donna dal sopruso, dalla violenza e dalla sopraffazione.

Non seconda per importanza è stata l’omelia che il Papa ha tenuto poi, durante la Messa al Campus dell’Università di Nairobi. La sua meditazione, molto spirituale, si è concentrata sul vero fondamento teologico che ispira l’Antico Testamento, vale a dire l’appartenenza a Dio di ogni essere umano.

Questo significa che il destino della vita non è soggetto di domino e non può essere né oppresso né tanto meno violato dall’azione individuale e collettiva. Fare questo a nome di una confessione, come sta avvenendo con il terrorismo, significa, prima ancora di consumare un tradimento della propria fede specifica, uccidere il comune significato che ha Dio come creatore di tutta la realtà e come provvidente padre dell’intero genere umano.

La famiglia e la società, come recentemente ha spiegato il filosofo Roger Scruton, costituiscono la radice cristiana della democrazia occidentale, permettendo di considerare la verità religiosa non come una legge che può imporsi dall’alto con il potere e la forza a scapito della libertà, ma come lo spirito stesso che anime le comunità, articolato concretamente in una trama di relazioni forgiate dal dialogo, dall’incontro, dal rispetto reciproco dei cittadini.

In conclusione, Francesco attribuisce a questo viaggio l’importanza di una testimonianza eccezionale della centralità che hanno comunque e sempre le singole persone, specialmente quando restano invisibili e nascoste perché povere ed emarginate.

Diventa chiaro, inoltre, perché in fin dei conti siano più pericolose le zanzare degli esseri umani. La coscienza e la libertà dell’altro non può diventare mai pericolosa e omicida se non quando si disumanizza, cancella deliberatamente tutto ciò che esprime l’autentica umanità, rendendo pertanto impossibile quella riconoscibilità reciproca che è essenza stessa di ogni atto realmente religioso.

Questo è il ruolo che ci si aspetta oggi dai grandi leader mondiali, davanti all’incubo di una guerra dominata dall’ideologia del sacro. Mai Dio può essere strumento di morte e mai è possibile confondere la politica con la religione senza perdere per strada il senso dell’umano e quello del divino, oltre a quello della politica, garantendo sicura vittoria al terrore e alla disperazione.

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